L’emergenza climatica non risparmia nessuno

L’Unione europea va avanti nella regolamentazione e vieta il greenwashing. Gli investitori istituzionali subiscono sempre più pressioni per contribuire a uno sviluppo sostenibile. E per le aziende che inquinano c’è meno posto in portafoglio. Se non si decide di cambiare rotta.

Sara Silano 20/03/2019 | 09:19
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Lo scorso 7 marzo, il Consiglio e il Parlamento Ue hanno raggiunto un accordo preliminare sugli obblighi di trasparenza in tema di investimenti sostenibili e rischi connessi ai fattori ambientali, sociali e di governance (ESG). Le regole fanno parte della strategia di Bruxelles per indirizzare l’economia verso uno sviluppo green in linea con i Sustainable development goal (SDG) delle Nazioni Unite e gli accordi sul clima di Parigi, noti anche come COP21.

Tra gli aspetti più rilevanti della nuova normativa, c’è il divieto di greenwashing, ossia di agire in modo da costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo ambientale per distogliere l’attenzione dagli effetti negativi prodotti dalle attività dell’azienda. Inoltre, vengono stabiliti obblighi di trasparenza per tutti gli operatori del mercato finanziario sull’integrazione di rischi e opportunità ESG nel processo di investimento. Non solo, viene chiesto di rendere noti gli impatti di comportamenti avversi a tali tematiche, ad esempio l’esposizione ad asset che inquinano l’acqua o minacciano la biodiversità. Infine, l’impiego di fattori ambientali, sociali e di governance nell’attività di gestione e consulenza diventa parte del dovere di agire nel “miglior interesse del cliente”.

L’accordo del 7 marzo è un ulteriore passo in avanti nell’attuazione del Piano di azione sullo sviluppo sostenibile dell’Unione europea, che segue l’intesa relativa alla creazione di benchmark low carbon e dovrebbe in futuro portare ad altri provvedimenti, incluso quello sulla tassonomia comune delle attività economiche, per il quale il voto definitivo è previsto il 26 marzo. Su questo fronte, gli operatori del settore hanno espresso preoccupazione dopo che lo scorso 11 marzo, la Commissione agli affari economici e quella all’ambiente del Parlamento europeo hanno respinto gli emendamenti su cosa sia “finanza sostenibile”, svuotandone la definizione.

Il ruolo degli investitori istituzionali
La normativa rappresenta sicuramente uno dei driver della transizione verso un sistema a basse emissioni inquinanti. Gli investitori istituzionali, infatti, subiscono sempre più pressioni, oltre che regolamentari, anche dalla società civile e dai clienti, affinché contribuiscano con le loro azioni a contrastare i cambiamenti climatici. Sempre più operatori non solo adottano strategie di esclusione delle industrie più inquinanti, ma intraprendono pratiche di azionariato attivo per aumentare la trasparenza e indurre le aziende ad affrontare seriamente i rischi del climate change. Secondo uno studio Morningstar, negli Stati Uniti, il supporto a risoluzioni relative ad ambiente e società sono aumentate dal 12 al 24% negli ultimi 15 anni.

Nel 2017, la Task force on climate-related financial disclosures (TCFD) ha fornito alle imprese una serie di raccomandazioni sugli standard per incrementare la trasparenza su queste tematiche. Nel 2018, le risoluzioni che chiedevano alle industrie di fornire dati sulle emissioni di gas serra hanno ricevuto un supporto ben superiore agli anni precedenti (sempre negli Stati Uniti).

Supporto medio alle risoluzioni su indicatori e target per le emissioni di gas serra

Supporto medio alle risoluzioni indicatori e target per le emissioni di gas serra

Le responsabilità dell’uomo
Il cambiamento climatico è ormai riconosciuto da tutti, non solo dagli attori finanziari, come la più grande sfida per il mondo intero. La comunità scientifica è concorde nell’attribuire all’uomo la causa principale del fenomeno. Basti pensare che dei 17 anni più caldi nella storia (da quando sono disponibili le rilevazioni), 16 sono stati successivi al 2001 (fonte: Nasa). In un report del 2018, lo United Nations Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha denunciato che gli effetti del surriscaldamento del globo sono più severi e imminenti di quanto non si pensasse in passato. Governi, società civile e settore privato si stanno mobilizzando. In Italia, è recentemente arrivato l’appello contro il cambiamento climatico del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. A livello internazionale è noto l’impegno di Greta Thunberg: il suo invito rivolto agli altri studenti è stato accolto negli ultimi giorni in quasi 100 paesi. E l’elenco potrebbe continuare. 

Misurare il carbon risk
Dal punto di vista degli investitori, il carbon risk è misurabile sia per le singole aziende, sia per il portafoglio dei fondi. Morningstar utilizza l’indicatore Low Carbon designation per quegli strumenti finanziari con un carbon risk score inferiore a 10 e meno del 7% del portafoglio in fonti fossili (per entrambi i parametri si considera il valore medio degli ultimi dodici mesi).

Quali sono i vantaggi di avere un portafoglio low carbon? Il confronto tra l’indice Morningstar azionario globale e quello Low carbon rivela una leggera sovraperformance dal 2012 a fine 2018 a fronte di un profilo di rischio, misurato dalla deviazione standard, più basso su diversi orizzonti temporali.

Confronto tra la deviazione standard dell’indice Morningstar Global market e il Low carbon risk

Confronto tra l'indice Morningstar del mercato azionario globale e quello Low carbon

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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