Un dedalo di spese per i fondi italiani

Trovare le classi economiche ed evitare quelle costose è più difficile che in altri paesi europei. Colpa delle strutture opache di molti prodotti a scadenza, tanto popolari negli ultimi anni.

Sara Silano 21/09/2017 | 09:19
Facebook Twitter LinkedIn

Quanto costano i fondi italiani? Di più o di meno di quelli esteri con caratteristiche comparabili? Rispondere a queste domande non è facile, perché è un mercato complesso e assai poco omogeneo. Il problema emerge immediatamente quando si cerca di applicare il Morningstar fee level alla realtà domestica. Questo indicatore permette di confrontare tra loro le singole classi retail (sono escluse le istituzionali) all’interno delle categorie Morningstar a livello europeo. Le voci di spesa utilizzate per il calcolo sono le spese correnti (ongoing charge) e di performance (se presenti e aggiornate nei documenti ufficiali). I livelli, in tutto cinque, vanno da “alto” per il 20% dei fondi più costosi in una determinata categoria Morningstar a “basso” per i più economici.

Le percentuali dicono poco
In termini strettamente quantitativi, oltre il 30% delle classi retail dei fondi italiani monitorati (1.401 in tutto) è nel quintile più caro per profilo commissionale, mentre meno del 10% è in quello più economico. L’analisi qualitativa, tuttavia, ci impone di fare molti distinguo. Vediamo qualche caso concreto. Possiamo sicuramente dire che è costoso un comparto, come ad esempio Consultinvest Azione A, che ha spese correnti (dichiarate nel Kiid, documento pubblicato dalla società di gestione e contenente le informazioni chiave sul prodotto) del 3,81%, contro una mediana di categoria dell’1,72%, e che prevede anche una fee di performance.

E’ più difficile, invece, inquadrare i tanto popolari fondi a cedola e scadenza, perché hanno strutture di prezzo, strategie di investimento e orizzonti temporali assai diversi tra loro. Oltre ai costi tipici, come la fee di gestione o quella di incentivo, essi prevedono nella maggior parte dei casi una commissione di collocamento, prelevata in un’unica soluzione alla fine del periodo di sottoscrizione, ma ammortizzata lungo la durata del fondo. Alla scadenza, il valore della quota avrà incorporato il costo, sostenuto anni prima dal risparmiatore. Se quest’ultimo esce anticipatamente, la parte rimanente, non ancora ammortizzata, viene imputata tutta in una volta sola, sotto l’etichetta di commissione di riscatto. (per approfondimenti clicca qui).

Quello che il Kiid non dice
La rappresentazione della struttura dei costi dei fondi a scadenza non è uguale per tutte le società di gestione ed è spesso difficile da comprendere pienamente in base alle informazioni contenute nel Kiid. Inoltre, le spese correnti possono variare sensibilmente nel tempo per la stessa classe di fondo, perché ad esempio gli oneri di gestione sono crescenti o non vengono applicati fino alla chiusura del collocamento.

Infine, ci sono fondi che alla scadenza prevedono la trasformazione in monetari. E’ possibile quindi che a quella data le spese correnti siano molto basse, ma si tratta di prodotti la cui strategia è totalmente differente da quella originaria e per altro sono chiusi a nuove sottoscrizioni.

In Borsa, il prezzo scende
Le classi quotate in Borsa o distribuite in modalità execution only, ossia quelle in cui l’intermediario si limita ad eseguire l’ordine impartito dal cliente, senza fornire alcuna consulenza, sono tra le meno costose nell’universo dei fondi di diritto italiano, in termini di ongoing charge. Anche in questo caso, tuttavia, è sempre bene verificare la presenza o meno delle fee di performance e le modalità con cui questa è calcolata. Un termine di paragone adeguato per le share class quotate o collocate in modalità execution only è rappresentato dalle cosiddette classi clean (ossia senza commissioni di distribuzione), che sono state istituite dalle case di gestione per i mercati dove le retrocessioni sono bandite (ad esempio il Regno Unito o l’Olanda). In ogni caso, le diverse tipologie low cost sono una piccola fetta del mercato retail italiano, che al contrario rimane in mano alla distribuzione tradizionale.

La trasparenza targata MIFID II
La difficoltà ad utilizzare il Morningstar fee level per l’universo dei fondi italiani, a differenza di altri paesi dove è un utile strumento per gli investitori, rende il mercato più opaco, in netto contrasto con la normativa europea MIFID II che, invece, invoca una maggior trasparenza. I risparmiatori, tuttavia, non devono rinunciare all’analisi dei costi, che rimane possibile (anche se più faticosa) attraverso la lettura dei documenti ufficiali (Prospetto informativo, rendiconto annuale e semestrale, ecc.). E’ bene, infatti, ricordare che diversi studi di Morningstar hanno dimostrato l’importanza dei costi nel determinare la capacità di un fondo di produrre performance superiori a lungo.

Visita il mini sito dedicato a MiFID II

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

Facebook Twitter LinkedIn

Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

© Copyright 2024 Morningstar, Inc. Tutti i diritti sono riservati.

Termini&Condizioni        Privacy        Cookie Settings        Disclosures