L'Asia conta su se stessa

I fondamentali della regione, dicono gli operatori, sono buoni, ma pesa la situazione dell'Occidente. La frenata rende più equilibrata la Cina.

Marco Caprotti 04/09/2012 | 11:00
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L’Asia guarda con crescente preoccupazione agli sviluppi della crisi in Europa e al rallentamento degli Stati Uniti ma spera nei suoi fondamentali. L’indice Msci della regione orientale (Giappone escluso) nell’ultimo mese (fino al 3 settembre e calcolato in euro) ha perso quasi l’1%, portando a +12% la performance da inizio anno.

“Sul piano economico le prospettive di crescita incerte del mondo occidentale contrastano con quelle delle economie asiatiche, relativamente robuste”, dice uno studio di Michael Kerley, dirigente di Henderson Asian Dividend Income Unit Trust. “Mentre l’espansione del prodotto interno lordo ha rallentato soprattutto di riflesso alla debolezza delle esportazioni (ma anche per le politiche restrittive dei governi), le tendenze di fondo restano positive, specie nei settori connessi alla domanda dei consumatori. Aspetto anche più importante è il calo delle pressioni inflazionistiche, che ha permesso una riduzione dei tassi di interesse in Cina, Australia e Corea, nonché l’attuazione di una politica monetaria molto più accomodante nella regione. Le misure intese a contenere l’apprezzamento delle quotazioni immobiliari sono state allentate, mentre si sono riavviati i progetti infrastrutturali sospesi nel timore di un surriscaldamento”.

Non per questo l’Asia è del tutto immune dai problemi dell’Occidente. Negli ultimi 12 mesi l’acuirsi dell’incertezza economica e politica in Europa e la crescita inferiore alle attese degli Stati Uniti hanno causato grande debolezza della regione, facendo sì che i mercati restassero confinati entro una certa banda di oscillazione e fossero penalizzati dalle prospettive di crescita stagnanti e dalle incertezze politiche riscontrabili a livello sia europeo che statunitense.

La Cina frena ancora
L’attenzione degli investitori, intanto, continua a restare puntata sulla Cina e sull’andamento della sua congiuntura. Gli ultimi dati arrivati dal Paese del Drago dicono che l’attività manifatturiera è crollata in agosto al livello più basso dal marzo 2009. L’indicatore, elaborato dalla banca Hsbc, conferma il forte rallentamento accusato dalla crescita della seconda economia mondiale. L’indice Pmi dei responsabili degli acquisti delle imprese cinesi lo scorso mese è sceso a 47,6 punti dai 49,3 di luglio. L’indicatore, se si trova sotto quota 50, segnala una congiuntura in frenata.

“Gli investitori hanno recentemente messo in dubbio che il rapido progresso economico della Cina degli ultimi due decenni possa continuare”, spiega una nota di Gigi Chan, gestore del fondo Threadneedle China Opportunities. “La crescita congiunturale è senza dubbio in rallentamento, ma crediamo che si stia semplicemente spostando ad un livello più sostenibile, poiché la Cina sta passando da un’economia guidata dall’investimento e dalle esportazioni ad un modello più equilibrato in cui la domanda interna sarà la forza trainante della crescita. Oggi i consumi contano solo per il 30% del Pil in Cina, mentre nei paesi sviluppati, come gli Stati Uniti e il Regno Unito, condizionano tra il 60% e il 70% dell’attività economica”.

 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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