Le banche rinunciano ai bond indigesti

Gli istituti di credito, dicono i dati della Bis, non vogliono le obbligazioni di Italia, Francia e Spagna. E gli investitori festeggiano.

Marco Caprotti 31/01/2012 | 16:26
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Il settore finanziario cerca nuove strategie per difendersi dalla crisi del debito europeo e riconquista un po’ della fiducia degli investitori. L’indice Msci del settore nell’ultimo mese (fino al 27 gennaio e calcolato in euro) ha guadagnato più del 7%, mettendosi sulla strada buona per cercare di recuperare quel 16% che si è lasciato dietro nel corso del 2011.

Alla base della ripresa c’è una maggiore sicurezza riguardo alle scelte che vengono prese dai leader politici europei per far fronte alla crisi del debito. I mercati, ad esempio, hanno accolto positivamente la decisione di anticipare a luglio il varo del nuovo fondo permanente Salva-stati. Gli istituti di credito, in ogni caso, hanno fatto la loro parte per dimostrare di essere più sicuri di quanto gli operatori non credano.

Meno rischio, più Treasury e Bund
Una strategia è stata quella di tagliare i prestiti a quegli stati considerati più a rischio (e nella fattispecie a Italia, Francia e Spagna). La tattica è stata delineata dall’ultimo rapporto trimestrale della Bank for International Settlements (Bis, conosciuta anche come la banca delle banche centrali), secondo cui la richiesta di bond (e debiti in genere) italiani nel periodo luglio-settembre 2011 è calata del 23% rispetto ai tre mesi precedenti. Per quelli d’Oltralpe la domanda è calata del 21%, mentre per quelli iberici la richiesta è scesa del 10%. La fuga dagli asset considerati pericolosi ha interessato anche paesi a rischio come Brasile, Messico e Polonia. Nello stesso periodo gli istituti finanziari hanno speso 65,3 miliardi di dollari per acquistare bond tedeschi e altri 77,2 miliardi per i Tbond americani. “L’elemento curioso è che, a causa di questi movimenti, l’esposizione verso i paesi sviluppati è cresciuta del 3,4%, mentre è diminuita quella nei confronti delle regioni in via di sviluppo nonostante gli sforzi che queste stanno facendo per rimettere in ordine i conti pubblici”.

In realtà, spiegano gli operatori, si è in presenza di un circolo vizioso: il rallentamento del Nord del mondo peserà anche sulle zone in via di sviluppo e la somma dei due avvenimenti frenerà la crescita mondiale. Per questo motivo le banche preferiscono avere in mano asset che gli operatori percepiscono come solidi.

Fra i più convinti a evitare le obbligazioni indigeste sono stati gli istituti americani che hanno tagliato la domanda di Oat (Obligations Assimilables du Trésor) di circa un quarto, mentre quelle inglesi hanno ridotto della metà la richiesta di BTp. I tedeschi, da parte loro, sembrano avere più fiducia nei loro vicini: hanno tagliato di poco gli investimenti in BTp, Bonos e Obligations mentre hanno investito ancora meno in Treasury.

Il rubinetto cinese
Non si sa come si stia comportando la Cina perché il paese asiatico non manda aggiornamenti alla Bis. Gli istituti del Paese del drago, comunque, non stanno fermi. La banca popolare cinese ha da poco dato il via libera ai cinque maggiori gruppi finanziari del paese per riaprire i rubinetti del credito che erano stati stretti nei mesi scorsi per raffreddare l’inflazione. Una strategia che ha portato il Pil del quarto trimestre 2011 a segnare una crescita inferiore al 9%. Pechino è così dovuta correre ai ripari, anche per dare ossigeno al piano quinquennale varato a marzo che è tutto concentrato sulla crescita dei consumi. Alle cinque maggiori banche del paese sarà concesso aumentare del 5% i prestiti erogati  rispetto all’anno scorso.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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