L'allarme degli hedge

La crescita vertiginosa dei patrimoni in gestione degli hedge fund nel mondo preoccupa gli addetti ai lavori. E’ vivo il ricordo del salvataggio del Ltcm nel 1998. Oltre alle masse in aumento, gli occhi sono puntati anche sull’inesperienza dei gestori.

Germana Martano, 21/05/2004 | 12:23
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Sono sempre i primi a finire sotto accusa quando si verificano forti oscillazioni sui mercati, e non è un caso. Gli hedge fund, in Italia nominati fondi speculativi, sono ormai da anni sotto la lente di chi esamina i mercati, e uno dei motivi risiede nel fatto che sono in grado di spostare velocemente ingenti quantità di denaro che si moltiplica nei fatti, sfruttando la possibilità di investire in derivati.

Si valutino al proposito i dati resi noti ieri nel corso del quarto convegno sul tema promosso da Borsa Italiana. Solo in Italia il patrimonio degli hedge è cresciuto da gennaio di quest’anno del 37%, una percentuale che sale al 180% se si guarda alla crescita del 2003, anno in cui il patrimonio degli hedge italiani è passato da 2,2 miliardi a 6,2 miliardi. E secondo le stime di

crescita presentate alcune settimane fa da Hedge Invest, sgr italiana che gestisce oltre 300 milioni di euro in fondi di fondi hedge, le prospettive in Italia restano notevolmente positive e parlano addirittura di un raddoppio degli asset nel 2004. In Europa questi strumenti hanno in gestione 125 miliardi di dollari, cui si sommano 105 miliardi di fondi di fondi. Negli Stati Uniti le masse gestite hanno raggiunto la ragguardevole soglia di 650 miliardi di dollari e costituiscono oltre il 10% dell’industria americana dei fondi.

Micheal Steinhardt, uno dei gestori più rinomati nella storia di questi strumenti, ieri al convegno di Borsa Italiana ha criticato gli eccessi degli ultimi anni negli Stati Uniti, dove enormi flussi si dirigono verso gli hedge fund e nascono continuamente e troppo facilmente nuovi gestori. Per Steinhardt, se non cambierà, la situazione rischia di diventare esplosiva, con conseguenze gravi per il settore. Perché? Tutti ricorderanno il fallimento del Long Capital Management (Ltcm), fondo hedge che nel settembre 1998 era esposto sui mercati per circa 200 miliardi di dollari, a loro volta utilizzati per esposizioni più alte sui derivati, contro un capitale di 5 miliardi di dollari. Ltcm era un fondo hedge, locato negli Stati Uniti, che, incappato nel default del debito pubblico russo che provocò la crisi in Russia e la conseguente svalutazione del rublo, fu salvato dalla Federal Riserve. La Banca centrale Usa intervenne creando un consorzio internazionale di banche che ne rilevarono gli investimenti, per evitare il rischio di travolgimento a catena delle banche più esposte e in ultima istanza la crisi dei mercati obbligazionari internazionali. Ciononostante, il colpo subito dal Ltcm e da altri hedge investiti nei mercati emergenti provocò una forte dose di instabilità anche sui mercati dei Paesi industrializzati e come effetto diretto obbligò il governatore della Fed Alan Greenspan a una serie di manovre di riduzione del tasso di interesse per rendere più basso il costo del denaro per far fronte alla crisi di liquidità.

L’Ltcm era tra i più noti fondi hedge Usa e vantava tra i suoi fondatori e gestori i migliori cervelli della matematica, da Robert Merton e Myron Scholes, premi Nobel, e maghi della finanza. Basato su modelli matematici che avevano previsto la convergenza dei tassi d’interesse delle principali nazioni industrializzate, non riuscì a parare il colpo della crisi russa, che ne scompigliò tutte le previsioni e così anche un fondo che era stato ritenuto inaffondabile crollò.

Se oggi la critica agli hedge arriva proprio da un guru come Steinhardt, e quindi dall’interno del mondo degli hedge, il campanello d’allarme suona forte. Non tanto direttamente per il singolo risparmiatore- si ricordi che in Italia l’investimento minimo in hedge ammonta a 500 mila euro- quanto per i mercati finanziari in generale e, quindi, indirettamente per tutti quelli che vi investono.

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