Il rally delle materie prime ha vita breve

L’indice delle commodity è salito del 19,2% nel 2003. Le previsioni sono ottimistiche, grazie allo sviluppo cinese, tuttavia il rischio è di compiere il vecchio errore di credere che i vincoli naturali producano una crescita illimitata dei prezzi.

Daniel Ben-Ami, 03/02/2004 | 11:45
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Le prospettive per il settore delle materie prime sono positive, perché gli analisti sono convinti possa beneficiare della ripresa economica globale e, in particolare, dello sviluppo della Cina. L’industrializzazione e la domanda di infrastrutture si ritiene spingerà i prezzi di carburanti e metalli.

Il prezzo delle materie prime è cresciuto rapidamente nel 2003. L’indice Economist Commodity è salito del 19,2% in dollari e i metalli hanno fatto ancora meglio, mettendo a segno un incremento del 43,6%.

I fondi che investono in titoli delle risorse naturali hanno tratto vantaggio dal rialzo, ma prima di puntare su questa categoria,

è importante conoscere meglio il mercato. La previsione che i prezzi continueranno a salire nel medio-lungo termine è discutibile.

Almeno in parte, l’aumento dei prezzi è legata alla debolezza del dollaro. In euro, l’indice Economist Commodity è sceso del 2,5% l’anno scorso. In yen e sterline, il rialzo è stato di circa il 5%.

Vecchi errori

Esistono motivi forti per mettere in discussione che l’effetto Cina produrrà una crescita permanente dei prezzi. E’ semplicemente una nuova versione del più vecchio e radicato errore economico. Alla base, c’è la convinzione che la domanda crescerà rapidamente, mentre l’offerta è limitata da fattori naturali.

Il primo a elaborare questa teoria è stato Thomas Malthus (1766-1834), nel saggio “On the Principle of Population”, pubblicato nel 1798. Malthus sosteneva che la popolazione cresceva in modo esponenziale, mentre l’offerta di cibo aumentava aritmeticamente. In altre parole, l’incremento demografico era destinato a superare quello alimentare, quindi se la popolazione veniva lasciata crescere senza controllo, l’economista vedeva un futuro di malattie, fame e guerre.

Dopo due secoli, nonostante nel mondo rimanga il problema della fame, è chiaro che il pensiero di Malthus si è rivelato errato. La popolazione mondiale è aumentata rispetto al Settecento, tuttavia le persone stanno meglio di 200 anni fa, tanto è vero che la vita media si è allungata.

Malthus aveva sottostimato la capacità umana di produrre in modo sempre più efficiente. In agricoltura, la resa di un terreno è aumentata con maggior rapidità rispetto alla crescita della popolazione. E’ quindi possibile avere più gente e meglio nutrita.

I sostenitori di una crescita illimitata dei prezzi delle materie prime compiono lo stesso errore di Malthus, anche se sotto una nuova veste. Il focus è sull’energia e i metalli, anziché il cibo. Essi sostengono anche che i vincoli naturali porranno un freno all’offerta, determinando un aumento dei prezzi.

Confusione sui limiti

Esiste scarsa chiarezza sulla distinzione tra vincoli naturali (l’ammontare assoluto di una risorsa presente sulla terra) e vincoli sociali (quanto è redditizio estrarre a una certa data). Questa confusione ha generato molte previsioni allarmistiche dai tempi di Malthus.

Ad esempio, nel 1982 le riserve di petrolio erano stimate in 696 miliardi di barili dall’Organizzazione dei Paesi esportatori (Opec). Dopo vent’anni, sono cresciute a 1.067 miliardi. Questo significa che i produttori non cercano nuovi giacimenti, fino a quando ritengono profittevole l’estrazione di greggio da quelli esistenti.

Vi sono molte vie per accrescere la produzione di petrolio nel futuro. Dalla sabbia e le rocce si può estrarre mille volte più che dai normali giacimenti, ma attualmente è troppo costoso. Inoltre, lo sfruttamento energetico è in miglioramento. Secondo l’America’s Energy information administration è in calo a un tasso annuo dell’1,5%. Vi sono, poi, forme di energia alternativa, come quella combustibile e nucleare. La storia insegna che nuove fonti vengono scoperte quando le vecchie si sono esaurite.

Metalli inutilizzati

Un discorso analogo vale per i metalli. La maggior parte delle giacenze resta inutilizzata. Si stima ci siano 8 milioni di tonnellate d’oro nei fondali marini, contro le 100 mila estratte nella storia umana. Inoltre, esistono le risorse aurifere delle banche e l’oro, a differenza del petrolio, può essere riciclato.

L’effetto Cina, dunque, potrebbe avere vita breve. Se diventa profittevole sviluppare nuove fonti è probabile che i prezzi crollino. E ancora una volta avrà vinto l’ingegnosità umana.

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