Attenzione però, non è tutto oro quello che luccica: per questi prodotti, su cui si stanno concentrando i maggiori sforzi degli uffici di marketing, qualche ombra c’è e che val
e la pena di valutare nel momento in cui si pensa di effettuare un investimento di questo tipo.
La stretta correlazione tra screening degli investimenti e performance di un fondo è una delle principali argomentazioni di chi propone investimenti socialmente responsabili. Questo perché se il business model di una società si fonda su comportamenti distruttivi nei confronti dell’ambiente o sulla vendita di prodotti dannosi e immorali come il tabacco e le armi da guerra, è ragionevole pensare che queste pratiche, prima o poi, possano diventare antieconomiche. Al contrario, le società che si tengono alla larga da tali business, con buona probabilità, saranno più profittevoli nel lungo periodo e meglio faranno i fondi che vi investono. La relazione tiene, almeno in teoria, in pratica un po’ meno.
Sebbene impegnata in non pochi risarcimenti, Philip Morris, ora Altria Group, ad esempio, appare quasi del tutto immune alla guerra intrapresa negli Usa sul consumo di sigarette e continua a macinare vendite e profitti: solo lo scorso anno, la multinazionale ha prodotto un flusso di cassa pari a 10,6 mld di dollari. Da un punto di vista prettamente finanziario, Altria resta un buon investimento.
La ricerca di società che rispettino pratiche di corporate governance, inoltre, permetterebbe ai fondi socialmente responsabili di stare alla larga da frodi come quella di Enron o Cirio. Ma, non essendo il loro focus principale, anche i fondi etici hanno avuto in portafoglio azioni di società poi fallite.
Dal punto di vista delle performance, invece, chi propende per l’investimento etico, otterrà in media gli stessi rendimenti di un investimento tradizionale. Se si considerano i 23 fondi italiani, essi mostrano performance mediamente in linea con quelle dei fondi azionari internazionali e così per quanto riguarda gli obbligazionari e i bilanciati.
Dove invece i fondi etici mostrano qualche debolezza, è sul fronte delle spese. Probabilmente per il fatto che si tratta di una tipologia nuova e che comincia a essere piuttosto richiesta, i fondi italiani social responsible risultano al momento più costosi dei tradizionali. Gli azionari costano in media l’1,88% all’anno contro l’1,69% degli internazionali tradizionali, così i bilanciati etici richiedono una commissione annua dell’1,31% contro l’1,19%, e anche per gli obbligazionari le fee di gestione sono in media più elevate, dell’1,19 contro l’1,1% degli obbligazionari internazionali.
Un fondo etico va dunque scelto per altri motivi, diversi da quelli propriamente remunerativi, e sempre dando un’occhiata alle diverse proposte. Di certo l’offerta italiana è ancora lontana da quella statunitense, che vanta una storia di più di 20 anni, e dove le alternative non mancano. L’ultima novità? I fondi a connotazione religiosa, come l’Amana Mutual fund trust, che investe secondo la legge dell’Islam, dunque scartando le società che guadagnano più del 5% dal gioco d’azzardo, dal trattamento dei maiali, dal prestito di denaro.
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