Punti chiave:
- I Paesi coinvolti nei conflitti hanno incentivi a non far deragliare i mercati globali.
- La de-dollarizzazione è un fenomeno politico che potrebbe anche avere risvolti positivi.
- In questo contesto di debolezza del dollaro, il vero vincitore è l’oro.
- Gli investitori devono più che mai diversificare il proprio portafoglio.
Valerio Baselli: Buongiorno e benvenuti. Dopo la recente escalation in Medio Oriente gli sviluppi geopolitici si confermano ancor di più come il fattore al centro della scena, sul quale si concentrano le attenzioni di mercati e investitori.
In un periodo così turbolento e incerto, cercheremo oggi di capire cosa dovremo aspettarci nei prossimi mesi, e lo faremo con l’aiuto di Carlo Benetti, market strategist di GAM.
Dott. Benetti, i mercati finanziari hanno reagito con relativa calma a questi ultimi sviluppi tra Israele e Iran, nonostante il coinvolgimento diretto sul piano militare degli Stati Uniti. Come mai, secondo lei? E quali sono oggi i pericoli principali che gli investitori devono tenere a mente?
Carlo Benetti: Bella domanda. In termini generali, le crisi politiche hanno sempre un impatto transitorio sui mercati finanziari, ma nello specifico gli operatori avevano già costruito scenari di conflitto controllato, di un confronto a intensità limitata. E gli ultimi colpi scambiati sul Qatar e Israele che colpisce, corroborano un po’ questa questa sensazione. È stata evitata l’escalation per la convergenza di interessi economici allineati. Gli Stati Uniti, la Cina e l’Arabia Saudita, lo stesso Iran, hanno incentivi a non far deragliare i mercati globali. l’Iran ha bisogno come il pane di esportare il petrolio, quindi è stata esclusa anche per le pressioni cinesi la chiusura dello Stretto di Hormuz. Perché se da una parte l’Iran ha bisogno di esportare, la Cina ha bisogno di stabilità energetica e gli Stati Uniti vogliono evitare un’impennata dei prezzi del petrolio.
I principali rischi di cui tenere conto, lei mi chiede. Per quanto riguarda i rischi politici, gli occhi sono ancora puntati al Medio Oriente, in questo grande calderone di difficile lettura. Però il vero rischio, a mio parere, è nella imprevedibilità degli Stati Uniti, delle politiche commerciali. Per la prima volta si mette in discussione la stabilità del debito americano, una roba inaudita. Sono tornati i bond vigilantes, la loro diffidenza si traduce in rendimenti più alti sui Treasury e la debolezza del dollaro è un ulteriore segnale di questa eccezionalità.
Baselli: Ecco, giustamente. Si parla molto della fine dello status globale del dollaro. Una delle prime conseguenze che abbiamo osservato subito dopo l’ attacco israeliano all’Iran è stato un rafforzamento del dollaro americano (assieme al petrolio) – in un periodo, il 2025, il cui il biglietto verde ha perso parecchio terreno rispetto alle principali valute internazionali. C’è da dire che in questi ultimi giorni c’è stato un ritracciamento del dollaro appena si è annunciata la tregua. Secondo lei, si tratta dell’ennesimo segnale che va verso la de-dollarizzazione oppure è ancora prematuro delineare uno scenario del genere?
Benetti: Per prendere in prestito una terminologia dal linguaggio della politica nostrana direi che questo è un argomento divisivo. Io distinguerei due aspetti nella mia risposta: la de-dollarizzazione, che è un fenomeno politico, è il tentativo dei paesi ostili avversari agli Stati Uniti, di affrancarsi dall’influenza del dollaro. E dal punto di vista sistemico sarebbe anche buona cosa. La de-dollarizzazione ha fatto anche cose buone potremmo dire, perché vorrebbe dire sistemi finanziari locali domestici più robusti, affidabili, proprio perché affrancati dal dollaro. In questo il vincitore, il vero vincitore, naturalmente è l’oro. Invece, è tutt’altro argomento il ruolo del dollaro come valuta globale. Perché in realtà oggi sono scese le riserve in dollari nelle banche centrali, sono scese molto rispetto a vent’anni fa, però sono ancora poco meno del 60%, e non ci sono candidati credibili. Lo yuan, non basta essere una grande economia; perché lo yuan è l’espressione valutaria di una grande economia, ma è una valuta molto controllata, quindi fuori discussione. L’altro grande candidato, l’euro, ha un serio difetto di fabbrica, e cioè il debito comune. Non c’è un debito comune, non c’è un pagatore di ultima istanza per cui anche l’euro è fuori gioco. In sintesi, il dollaro paga il pegno della taranta dei dazi e del nuovo corso della politica americana. La sua debolezza fa brillare più che mai l’oro. Però, il dollaro non vedo che perda da qui a breve l’exorbitant privilège, come diceva Valery Giscard d’Estaing negli anni ‘60. Cioè questo privilegio esorbitante di valuta di riferimento del sistema monetario globale.
Baselli: Molto chiaro. Un’altra fonte di preoccupazione ancora ben presente per gli investitori è rappresentata dalla guerra commerciale di Donald Trump. Cosa vi aspettate da questo punto di vista nei prossimi mesi? E qual è il modo migliore per proteggere il proprio portafoglio dai dazi?
Benetti: Eh anche questo, qualsiasi previsione fatta da noi o anche da esperti è scritta sulla sabbia e sulla sabbia del gatto. Perché la taranta, la pizzica dei dazi continuerà, ora l’appuntamento al 9 luglio. Ma cosa accadrà? Non lo sa nessuno, perché lo stesso Powell pochi giorni fa lo ha ammesso più o meno esplicitamente, o in filigrana. Non tagliamo i tassi perché alla fine non abbiamo idea di come, in quale misura verranno applicati, come saranno ripartiti i costi fra esportatori e distributori clienti finali. Senza politiche commerciali economiche prevedibili, un’economia di mercato non può funzionare bene. E quando la imprevedibilità viene dall’economia egemone, dall’economia più importante del mondo, è l’economia globale a non funzionare bene.
Quali sono gli antidoti? Il modo migliore è la diversificazione. È una regola vecchia dal ’52, quando venne formulata da Markowitz, a oggi non è stata scalfita. Diversificare quanto più possible. Un settore che potrebbe reggere meglio l’impatto, uno dei settori che potrebbe reggere bene l’impatto dei dazi è quello del lusso, perché nei consumi di altissima gamma i dazi sono solo una seccatura ma non hanno difficoltà le aziende del lusso, del lusso absolute, non hanno difficoltà a traslare i costi aumentati sul prezzo finale e non hanno paura di compromettere il fatturato. Però la diversificazione è la regola aurea quando c’è uno scenario così di difficile lettura.
Baselli: Per chiudere, alla luce di tutto quello che ci siamo detti finora, che aspettative avete per il secondo semestre dell’anno? E dove vedete le migliori opportunità?
Benetti: Allora, vale la regola della casella uno, cioè che è difficile fare previsioni, però quello che possiamo ragionevolmente prevedere è che purtroppo gli Stati Uniti continueranno a essere un generatore di incertezza, un generatore di volatilità, e l’elenco delle fonti di preoccupazione si allunga con una sgradita, sgradevole new entry, che sono le minacce all’indipendenza della banca centrale. Non è una questione da poco, sembra folcloristica, ma è una questione importante.
Continuerà la riallocazione degli asset al di fuori degli Stati Uniti e il favore sta andando all’Europa e ai mercati emergenti, favoriti questi ultimi anche dalla debolezza del dollaro. In Europa la scommessa è sul programma di investimenti in Germania, che dovrebbe rimettere in moto l’economia con benefici su tutta l’area. È stato rimosso il freno al debito e con un rapporto debito PIL in Germania inferiore al 64-65%, ecco la Germania dispone di un ampio margine di manovra fiscale, è la prima volta che da decenni è decisa ad usarlo e appunto con benefici non solo sul Paese ma sull’intera area e anche sui Paesi emergenti dell’Europa dell’Est.
I mercati invece emergenti, l’Asia o il Sud America stanno già dando soddisfazioni agli investitori. C’è dispersione di performance in questo settore, quindi in questo caso la gestione attiva è cruciale. La Cina è tornata investibile, un luogo dell’investimento. I problemi non sono risolti, però il governo ha adottato un approccio pragmatico non ideologico, c’è coordinamento fra le politiche monetarie fiscali e regolamentari sui mercati dei capitali. Insomma c’è il settore tecnologico. Lei ricorda di DeepSeek quando ha sconvolto il sistema di intelligenza artificiale a basso costo che viene dalla Cina. Ecco, ma DeepSeek è la punta dell’iceberg di un ecosistema di società laboratori piccole e grandi che lavorano nella frontiera avanzata della conoscenza. Quindi, la Cina è tornato un luogo investibile e i mercati emergenti sono anche quello un luogo dell’investimento per diversificare quanto più possibile il portafoglio in questa seconda metà dell’anno.
Baselli: Molto interessante. Grazie ancora a Carlo Benetti. Per Morningstar, Valerio Baselli, alla prossima.
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