Come ampiamente previsto, la Federal Reserve ha mantenuto i tassi USA invariati. L’evento principale della riunione del 18 giugno è stata la pubblicazione di nuove proiezioni economiche da parte dei partecipanti al FOMC, che fanno luce sulle decisioni del comitato nelle riunioni future. Le proiezioni precedentemente pubblicate risalgono a marzo, prima degli scioccanti sviluppi tariffari di aprile.
Il tasso sui fondi federali è stato mantenuto nella fascia obiettivo del 4,25%-4,50% da quando è stato ridotto di un punto percentuale da settembre a dicembre 2024. Da luglio 2023 a settembre 2024 il tasso si era attestato su un intervallo del 5,25%-5,50% che, essendo salito da quasi lo 0% durante la pandemia, ha rappresentato il più grande aumento dei tassi in oltre 40 anni.
I tassi attuali sono ancora ben al di sopra del tasso medio pre-pandemico dei fondi federali (2017-19), pari all’1,7%. Ciò fa prevedere che i tassi scenderanno ulteriormente.
In media, i membri del FOMC continuano a prevedere una riduzione del tasso di 50 punti base nel 2025, per un intervallo obiettivo del 3,75%-4,00%. Tuttavia, le aspettative per il tasso sui federal funds a fine 2026 e 2027 sono salite rispettivamente al 3,50%-3,75% e al 3,25%-3,50%, con un aumento di 25 punti base rispetto alle proiezioni precedenti. Inoltre, nonostante la mediana invariata per il 2025, sette dei 19 partecipanti alle proiezioni del FOMC ora non prevedono alcun taglio dei tassi quest’anno, rispetto ai quattro di marzo.
La proiezione del FOMC per il tasso di inflazione core PCE (personal consumers expenditures) del quarto trimestre 2025 (anno su anno) è salita al 3,1%, dal precedente 2,8%. Da un lato, i dati sull’inflazione non solo non hanno ancora registrato un forte impatto dei dazi, ma sono stati decisamente deboli negli ultimi mesi, con i prezzi PCE core che hanno probabilmente registrato una media dell’1,4% annualizzato nei tre mesi terminati a maggio. D’altra parte, Powell ha dichiarato che le tariffe sono ancora “suscettibili di far salire i prezzi” e noi concordiamo con questa valutazione.
Altrettanto importante è che vi sia ancora molta incertezza sul fatto che l’eventuale impulso al rialzo dell’inflazione derivante dalle tariffe costituisca uno shock una tantum o un effetto più persistente. Questi ultimi richiederebbero una risposta più decisa da parte della Fed.
Le proiezioni del FOMC sulla crescita del PIL reale nel quarto trimestre del 2025 (anno su anno) sono scese all’1,4% dall’1,7%. Tuttavia, pur valutando il rallentamento della crescita, la banca centrale sembra considerare questo fenomeno principalmente come uno shock negativo dell’offerta (dovuto ai dazi). In linea di principio, mentre la Fed dovrebbe rispondere a uno shock negativo della domanda allentando la politica monetaria, non è così per uno shock negativo dell’offerta.
Per il momento continuiamo a prevedere due tagli dei tassi quest’anno, poiché ci aspettiamo che l’incertezza generata dai dazi costituisca un significativo shock negativo per la domanda, che richiederà un lieve allentamento della politica monetaria nonostante un’accelerazione dell’inflazione. In termini di tempistica, tuttavia, sembra ora più probabile che il primo taglio avvenga a settembre, anziché a luglio come previsto in precedenza.
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