Il 2019 visto dalle case di gestione

Gli elementi per tenere in apprensione gli investitori non mancano. L’osservata speciale è la Fed che, nella corsa alle strette, potrebbe commettere errori. Per le azioni meglio spostarsi in Europa e sugli emerging. Fra le obbligazioni, occhio ai default aziendali.

Marco Caprotti 18/12/2018 | 10:23
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Di sicuro non si può parlare di pessimismo. Certo è che il 2019, visto con il binocolo delle società di gestione, ha come termine-chiave la prudenza. “Per fare il quadro della situazione gli elementi sulla tavolozza dei colori non mancano”, spiega Mike Coop, responsabile dei portafogli Multi-Asset Portfolio EMEA di Morningstar Investment Management. “Fra questi ci sono Brexit, la situazione italiana, i negoziati sui dazi fra Usa e Cina, il calo della produzione di petrolio e le decisioni delle Banche centrali. In situazioni come queste noi suggeriamo di fare un respiro profondo per mettere a fuoco le cose che si sanno e guardare la situazione in prospettiva. Una grande opportunità di creare valore si ha, nei momenti di disordine, agendo razionalmente quando gli altri non lo fanno.

Il quadro macro
L’invito alla prudenza arriva anche dalla situazione macro che, a livello globale, tutti vedono in rallentamento. Colpa, ha spiegato Cristophe Bernard, Chief strategist di Vontobel nel suo ultimo Winter Outlook, della decelerazione della Cina (Vontobel stima un Pil cinese a +6,6% per quest’anno e a +6,2% per il 2019) e una minore brillantezza dell’Europa. 

Uno dei paesi osservati speciali saranno gli Stati Uniti. “Non ci aspettiamo la recessione negli Usa nel 2019, ma la principale preoccupazione per noi è che la Fed, con i prossimi tre aumenti in dodici mesi, possa in realtà commettere degli errori”, spiega Daniel Morris, Senior investment strategiost di BNP Paribas Asset Management. “In primo luogo, può accadere che la Banca centrale statunitense incrementi troppo i tassi di interesse, anche nel caso non ci sia stato un innalzamento dell’inflazione, provocando così un calo della crescita; o viceversa che, con una maggiore inflazione, la restrizione di politica monetaria già prevista risulti insufficiente. I tagli alle imposte messi in atto dall’amministrazione Trump hanno accresciuto il rapporto debito/Pil del paese, di conseguenza il livello di rendimento dei Treasuries deve aumentare per riflettere questo debito. Tuttavia, nel medio-lungo periodo, questo potrà avere un impatto negativo”.

E in Europa? “Nonostante i consumi siano rimasti robusti, le spese per gli investimenti sono aumentate significativamente”, dice Morris. “Un contributo rilevante alla minore crescita del Pil è stato dato dalle esportazioni. Non tanto per colpa della Cina, quanto per i commerci con l’America, che nel corso del 2018 si sono ridotti notevolmente, probabilmente come riflesso dell’amministrazione Trump. Le previsioni per il Vecchio continente prima erano per una crescita de Pil del 2%. Ora sono dell’1,6%”.

Azioni
Poche certezze sembrano arrivare dall’equity. “Ci aspettiamo che i rendimenti delle azioni siano misti”, spiega David Lafferty, Chief Market Strategist di Natixis Investment Managers. “Per l’S&P 500, le stime di crescita degli utili nel 2019 sono già state ridotte dall’11% all’8%. Con una moderazione dell'attività globale, potrebbero avvicinarsi al 5-7%, dato che la crescita dei ricavi e dei margini di profitto sarà probabilmente sotto pressione.

I numeri per le azioni europee sono simili. “Ma manteniamo la nostra preferenza per queste, in quanto le loro valutazioni inferiori implicano meno ribassi nel caso in cui l'economia globale dovesse vacillare più del previsto”, dice Lafferty. “In parole povere, non sappiamo se le azioni statunitensi o europee faranno meglio rispetto a quest’anno, ma preferiamo il trade-off rischio/rendimento in Europa”.

Chi ha maggior appetito per il rischio potrebbe buttare un occhio sugli emerging. “E’ probabile che i venti contrari derivanti dalla stretta della Fed e dalla forza del dollaro Usa diminuiscano”, dice Lafferty. “Inoltre, la carneficina dei titoli emergenti riflette già le preoccupazioni macroeconomiche per il prossimo anno. Nel complesso, riteniamo che i livelli di volatilità dei titoli azionari siano simili a quelli del 2018”.

Obbligazioni
Il cielo si sta rannuvolando anche per gli investitori obbligazionari che, presto, potrebbero dover dire addio alla tranquillità a cui si sono abituati dal 2008. “Vi sono infatti diversi elementi che stanno turbando la calma del periodo post crisi finanziaria”, spiega Bob Jolly, Head of Global Macro Strategy di Schroders. “Si è passati da un problema significativo di disoccupazione nel dopo crisi alla situazione attuale, in cui si sfiora la carenza di forza lavoro. Le Banche centrali, inoltre, sembrano sempre più convinte che il Qe abbia fatto il suo tempo e che sia necessario alzare i tassi. I governi, intanto, stanno spendendo di più. Le tendenze protezioniste, infine, si stanno rafforzando”. Anche in questo segmento del mercato, quindi, bisognerà usare prudenza. “I mercati saranno probabilmente più volatili in futuro”, dice Jolly. “Di conseguenza, i default aziendali potrebbero aumentare. Sarà necessario prezzare i rischi in modo preciso e realistico: occorre quindi abbandonare un certo ottimismo eccessivo, soprattutto in parti del mondo dove il debito è silenziosamente cresciuto fino a livelli da record. Ciò non deve necessariamente avere un impatto disastroso sui prezzi degli asset. Tuttavia, potrebbe significare che il tempo delle tattiche ‘buy and hold’ è quasi al termine”.

È l’Italia? Il Belpaese nell’Outlook 2019 di Axa investment Managers viene definito “un elefante nella cristalleria Ue”, soprattutto per il legame fra debito e banche che potrebbe avere un effetto contagio. “La valutazione dei rischi legati a un investimento in Italia va necessariamente fatta nel contesto dei trend di lungo periodo”, spiega Alessandro Tentori, Chief Investment Officer di AXA IM Italia. “Nonostante le recenti aperture su un compromesso tra Roma e Bruxelles, rimane il problema di fondo: la crescita. Negli ultimi venti anni, l’Italia è cresciuta in media dello 0,5% per anno, in netto contrasto con l’andamento medio europeo e statunitense”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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