Scegli il pericolo che fa per te

Gli indicatori di rischio si basano spesso sui dati storici e non sempre sono una soluzione efficace per raggiungere i propri obiettivi. Altre variabili più personali, giocano un ruolo fondamentale. Molti manager di successo, intanto, si affidano al processo di investimento e non badano al market timing.

Francesco Paganelli 20/03/2017 | 09:44
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Si fa presto a dire rischio. Ma come si misura, come si gestisce e, soprattutto, come si può definire? La lista è lunga: dalla deviazione standard al downside capture ratio, dal tracking error alla perdita massima, solo per citare alcuni indicatori. Ma, quasi tutti, guardano al passato. Sono quelli giusti per selezionare un investimento? Non necessariamente.

Che cos’è il rischio?
Il rischio di un fondo viene spesso identificato con la sua volatilità storica. Questa misura ha diversi vantaggi. Ad esempio, è semplice da calcolare ed è relativamente facile da comprendere. La sua popolarità è tale da essere la base del cosiddetto “indicatore sintetico di rischio”, il famoso SRRI ben visibile in tutti i KIID (si usa la deviazione standard degli ultimi cinque anni del fondo o, spesso, quella del benchmark di riferimento, se ad esempio il fondo è di nuova costituzione). Un numero da uno a sette viene associato alla banda di volatilità in cui ricade il fondo. L’interpretazione più ovvia è: alta volatilità uguale alta rischiosità (e viceversa). Sfortunatamente non è sempre così semplice (infatti, l’indicatore è accompagnato da una serie di note piuttosto importanti). Ad esempio, la volatilità non resta ferma, ma tende a cambiare nel tempo e questo rende difficile definire delle soglie di allerta. Inoltre, paradossalmente, in passato un ottimo momento per investire è stato proprio quando la volatilità del mercato era ai massimi storici. Così, molti investitori guardano a questo elemento come a un’opportunità da cogliere, non un rischio da evitare.

Nella sostanza, per molti risparmiatori il rischio è un’altra cosa: semplicemente, quello di perdere il capitale investito. Del resto, quasi un secolo fa Benjamin Graham definì un investimento come “un’operazione che, dopo un’analisi approfondita, promette la sicurezza del capitale e un rendimento adeguato”. (Aggiungendo: “Le operazioni che non soddisfano questi requisiti sono speculative”). Così, scegliere la propria definizione di rischio può aiutare a pianificare e selezionare i propri investimenti. Se, ad esempio, il rischio è definito come “perdita permanente del capitale”, magari alcune asset class non sono così rischiose come sembrano, dopotutto.

Oltre la volatilità
Ciò non significa che la deviazione standard, come tante altre misure, non abbia i propri meriti: può fornire un’indicazione di massima dell’ampiezza della perdita attesa. Tra le altre cose, è stato evidenziato in passato come l’elevata volatilità di un fondo sia spesso associata a un maggiore “investor gap”. Ma non è neanche la soluzione a tutti mali. Investire in settori storicamente meno volatili non mette necessariamente al riparo da perdite (soprattutto se le valutazioni sono già alte). Pensiamo ai titoli di stato, l’asset class tradizionalmente meno rischiosa: una porzione significativa dei bond governativi dell’area euro è oggi prezzata a tassi negativi, il che significa che tenere a scadenza l’obbligazione assicura una perdita. Sono veramente titoli a basso rischio? In effetti, anche un paniere diversificato e “poco rischioso” come il JPM EMU può dare brutte sorprese: se guardiamo ai rendimenti trimestrali dell’indice, è arrivato a perdere anche più del 5% (tra aprile e giugno 2015). Da qui si vede l’importanza di un’altra variabile cruciale: il proprio orizzonte di investimento (vedi tabella sotto, che rappresenta l’intervallo di rendimenti offerti da diverse asset class su periodi di uno, cinque e 20 anni tra il 1926 e il 2016). Si prenda il mercato azionario. Se investire in azioni può senz’altro aver dato amare delusioni nel breve termine (come il -47% dell’indice MSCI World segnato tra marzo 2008 e febbraio 2009), nella stragrande maggioranza dei casi su periodi più lunghi (come 10 anni) gli investitori pazienti sono stati ricompensati con un rendimento positivo (e quasi sempre più alto delle alternative).
La riduzione del rischio nel tempo

Allo stesso modo, scegliere il livello di rischio più adatto significa anche trovare un equilibrio tra la propria “risk capacity” (capacità di rischio) e la propria “risk tolerance” (tolleranza al rischio). La prima tipologia si riferisce agli aspetti più pratici e indica la facoltà di “navigare” le perdite senza che queste abbiano un effetto materiale sul nostro stile di vita. La seconda si riferisce alla sfera emotiva: quanto si è disposti a perdere prima di entrare nel panico? Ancora una volta, molto dipende dai propri obiettivi finanziari. Se si investono i risparmi con un orizzonte di 10, 15 o 20 anni, probabilmente le oscillazioni nel valore degli investimenti non avranno grande importanza se non, appunto, tra 10, 15 o 20 anni (in questo caso, con ogni probabilità si avrà un’alta capacità di rischio).

La gestione del rischio secondo i money manager
Ma se non posso evitare i rischi, come posso gestirli? Supponiamo di voler scegliere un fondo un po’ più prudente in un mercato volatile, per attutirne le oscillazioni. Abbiamo scelto tre comparti con Analyst Rating positivo gestiti da tre società diverse e appartenenti a tre categorie azionarie: come hanno fatto questi gestori ad avere una rischiosità (intesa sia come volatilità, sia come perdita massima, sia come Morningstar Risk) inferiore ai propri concorrenti di categoria?

Medallists a basso rischio

 

La risposta è nel processo di investimento: questi manager tendono a limitare le perdite durante i periodi di turbolenza dei mercati finanziari come conseguenza del proprio processo di selezione titoli. Questi (e altri) gestori non perdono tempo nel tentativo di prevedere con relativa precisione gli eventi futuri, ma preferiscono concentrarsi su variabili su cui ritengono di avere un maggior controllo, come l’analisi fondamentale. In questo modo, i tre fondi hanno avuto un livello di rischio inferiore a quasi tutti i propri concorrenti di categoria, pur avendo portafogli assai diversi tra loro, come vediamo nella tabella qui sotto. Oltre a un marcato stile orientato alla crescita, il denominatore comune di questi fondi è l’alta qualità dei titoli sottostanti, un orientamento di lungo termine e una forte disciplina nell’applicazione dei criteri scelti.

Esposizione settoriale medallists a basso rischio

 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Francesco Paganelli

Francesco Paganelli  è Fund Analyst di Morningstar in Italia

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