La pace fa guadagnare più della guerra?

Le tensioni e i conflitti a livello mondiale non stanno facendo bene ai titoli del settore difesa che vendono di più nei momenti di calma. E spesso non convengono nemmeno agli stati per uscire da una crisi economica. 

Marco Caprotti 26/10/2016 | 13:14
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La guerra è un buon affare per l’economia? E per gli investitori? Le due domande tornano sul mercato con una certa ricorrenza, soprattutto nei momenti in cui le crisi geopolitiche sono più acute. Gli economisti le hanno dibattute per anni. Da una parte ci sono quelli keynesiani, secondo cui le spese governative (fra cui quelle legate agli eventi bellici) aiutano i paesi a uscire dalla recessione. Poi ci sono quelli come Joseph Stiglitz secondo cui i periodi di pace (come gli anni ’90) sono quelli in cui si registrano i maggiori progressi in termini macroeconomici.

Chi sceglie la pace
“Dal punto di vista di un investitore la prima domanda da fare è se la guerra è un buon affare per le società del comparto difesa”, spiega Mike Porter, analista di Morningstar. “E qui la risposta non è quella che molti potrebbero pensare. Il conflitto in sé non è il momento in cui un’azienda che si occupa di difesa guadagna di più. Il fatturato e l’utile salgono nei periodi di pace quando lavorano sulla ricerca e sviluppo, presentano i loro prodotti ai governi che poi eventualmente li acquistano. Il processo va avanti fino a quando non scoppia un conflitto che le costringe a concentrarsi sui progetti già approvati. Nemmeno i militari hanno troppa voglia di testare sul campo, a guerra in corso, una tecnologia di cui non conoscono i risultati”.

Non sempre arriva la spinta
Dal punto di vista macroeconomico la questione cambia se si parla di paesi sviluppati oppure emerging (o di frontiera). “La maggior parte e le più grandi aziende del settore difesa sono negli Stati Uniti, per cui l’economia americana potrebbe avere qualche vantaggio”, dice Porter. “Per quanto riguarda le aree in via di sviluppo la spesa militare si dirige quasi interamente verso l’estero con un impatto minimo sull’economia interna”.

Uno studio della società di analisi Investment Frontier ha messo a confronto l’andamento congiunturale di diversi paesi nei 10 anni prima di una guerra (civile, contro il terrorismo o nei confronti di un’altra nazione), con quelli della guerra e quelli seguenti.

Andamento Pil in alcuni paesi prima, durante e dopo i maggiori conflitti

guerre

Fonte: Investment Frontier

Nel caso dell’Iran le cose sono andate sempre peggio, mentre in Sri Lanka sono migliorate. I conflitti interni in Rwanda hanno portato a un forte declino economico durante gli scontri seguiti da un periodo di stabilità e crescita. Gli Stati Uniti, contrariamente a quanto si pensa, non hanno registrato un periodo florido subito dopo la Seconda guerra mondiale. “Il boom economico è arrivato dopo la guerra in Corea”, spiega lo studio di Investment Frontier. “Lo sviluppo registrato durante il conflitto mondiale invece, è stato dovuto anche allo sforzo diplomatico americano che ha costretto molte nazioni europee a fare affidamento sugli armamenti made in Usa.

Un quadro simile si ha se si sposta lo sguardo nei paesi dove ci sono conflitti in corso. Il Sudan continua a migliorare, così come l’Iraq mentre la situazione in Siria e in Afghanistan peggiora.

I titoli scendono
Dal punto di vista delle categorie azionarie Morningstar, i titoli del segmento difesa rientrano nel gruppo più generale degli industriali. A livello di fondi, tuttavia, la presenza maggiore si registra anche in alcuni segmenti dedicati a determinati paesi come Germania e Francia che investono sui player locali.

difesa

L’andamento del settore difesa, tuttavia, sta appesantendo quello di tutti gli strumenti che ci hanno investito.

Indice Msci Aerospace&Defense 1 anno in euro (Fonte: Morningstar Direct)

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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