Chi rema contro le commodity

L'indice del settore nelle ultime settimane si è svegliato. Ma, dicono gli operatori, il rallentamento della Cina peserà sulle quotazioni. Anche se...

Marco Caprotti 02/10/2013 | 14:15
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Il tentativo di risveglio delle commodity potrebbe essere un fuoco di paglia. L’indice S&P Global natural resources del comparto nell’ultimo mese (fino al 30 settembre e calcolato in euro) ha guadagnato il 2,2% ma la performance da inizio anno continua a essere negativa (-6,4%).

Nel frattempo gli investitori devono fare i conti con elementi che non promettono bene per le quotazioni delle materie prime come l’aumento della produzione di alcuni beni (dal rame al grano) e il raffreddamento delle tensioni in Medio Oriente.

C’è chi vede nero
Una situazione che fa vedere nero alle maggiori case di investimento. Per Goldman Sachs, il paniere S&P GSCI Enhanced Commodity (che la merchant bank considera il suo benchmark quando si parla di risorse naturali) nei prossimi 12 mesi perderà il 2%, frenato soprattutto da energia, metalli preziosi e prodotti agricoli.

Sulla stessa lunghezza d’onda gli analisti di Credit Suisse che hanno raccomandato ai loro clienti di tenere una posizione neutrale sulle commodity, a causa soprattutto della situazione in Cina. Il colosso asiatico resta un consumatore vorace di materie prime, ma il consensus degli economisti dice che il suo Pil (Prodotto interno lordo) passerà dal +7,6% previsto per quest’anno al +7,4% nel 2014. Tassi di crescita per i quali tutti i paesi del mondo metterebbero la firma, ma che per la prima economia emergente del globo rappresenterebbero il peggior risultato dell’ultimo quarto di secolo.

Super ciclo finito?
Nonostante questa situazione, secondo alcuni operatori è prematuro parlare di fine del super ciclo delle commodity. Nei giorni scorsi ha colpito l’attenzione degli operatori un report prodotto dalla società di consulenza McKinsey, secondo cui ci si potranno ancora vedere forti crescite nei prezzi delle materie prime, anche se per ragioni diverse rispetto al passato. Il report, fra gli altri, fa l’esempio dei giacimenti petroliferi offshore che richiedono equipaggiamenti sempre più complicati e lo sfruttamento di miniere in aree politicamente instabili. Fattori che dipendono dalla difficoltà di andare a trovare le risorse naturali e che faranno salire ancora di più i prezzi delle materie estratte.

Una situazione, insomma, che imporrà di tenere i prezzi delle commodity sopra una soglia minima. I costi per aprire un nuovo impianto petrolifero, ad esempio, sono raddoppiati nell’ultimo decennio mentre la produzione mineraria per entrare a regime oggi ha bisogno di 20 anni rispetto ai sei anni degli anni ’80 e ai 10 dei ‘90.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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