L'Asia balla da sola

La regione può riempire il vuoto lasciato da Usa ed Europa puntando sui consumi interni. La Cina vuol dare l'esempio.

Marco Caprotti 26/06/2012 | 10:58
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Nonostante i problemi di mercati di sbocco importanti come gli Usa e l’Europa, l’Asia continua a marciare di buon passo. L’indice Msci della regione (Giappone escluso) nell’ultimo mese (fino al 25 giugno e calcolato in euro) ha guadagnato l’1,2%, portando a +7% la performance da inizio anno.

“La riduzione del debito delle famiglie in Usa sta diminuendo la domanda di esportazioni dall’Asia, mentre la crisi europea sta spingendo le istituzioni finanziarie a investire meno e questo sta portando nell’area un po’ di volatilità”, spiega uno studio di Pimco. “Tuttavia, a differenza del passato quando l’Asia era economicamente più piccola e finanziariamente più fragile, la regione non è più una protagonista passiva delle dinamiche mondiali. Le scelte fatte dai governi, dalle famiglie e dalle aziende dell’area sono in grado di determinare il modo in cui i mercati emergenti riempiranno il vuoto lasciato dall’arretramento di Usa ed Europa”.

Radar sempre sulla Cina
L’attenzione degli operatori è sempre puntata sulla Cina. Il Ministero del commercio ha annunciato che il Paese può guadagnare il 10% in più quest’anno grazie al risultato delle importazioni e delle esportazioni, a patto che la condizione dell’economia mondiale non peggiori ulteriormente. Un risultato reso possibile anche da alcune manovre effettuate da Pechino come il taglio dei tassi deciso nella prima settimana di giugno (il primo dal 2008), la crescita dei prestiti bancari registrata a maggio e il deprezzamento dello yuan nei confronti del dollaro.

I segni di un raffreddamento della situazione comunque sono evidenti. Il Ministero del commercio ha comunicato che gli investimenti non finanziari nei primi cinque mesi dell’anno sono saliti del 40,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, segnalando una brusca frenata se confrontati al +72,8% del periodo gennaio-aprile. Gli economisti di Hsbc, intanto, hanno abbassato le previsioni sulla crescita del Pil di Pechino per il 2012 a +8,4% dalla precedente stima di +8,6%. La decisione è stata motivata con il rischio di ulteriori effetti negativi legati all’impatto della crisi del debito europeo sulle esportazioni cinesi.

Cambiamenti attesi
La buona notizia è che tutto questo non ha colto di sorpresa gli operatori. “Il mix di esportazioni e investimenti che ha determinato una crescita della Cina compresa fra il 10 e l’11% nel corso dell’ultimo decennio ha raggiunto il limite massimo”, dicono ancora da Pimco. “La questione fondamentale è capire se il Paese sarà in grado di passare a un modello che dia maggiore importanza ai consumi interni. Questo richiede profondi cambiamenti nella politica del governo fra cui quello della politica fiscale, quello della distribuzione dei profitti da parte delle aziende controllate dallo stato, quella del mercato del lavoro e quella dell’energia. Un processo di riforme, supportato dai mezzi finanziari necessari a difendere l’economia da una contrazione globale, secondo noi potrebbe portare a una crescita di circa il 7%. Più bassa di quella prevista dagli ottimisti, ma lontana dall’hard landing (il passaggio diretto da una fase di espansione a una di contrazione, Ndr) atteso dai pessimisti”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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