Fra settembre e novembre dell’anno scorso il Paese ha investito più di 46 miliardi di dollari per dare una mano all’economia a cui si sono aggiunti, a gennaio, altri 42 miliardi pompati nella sua banca di sviluppo. Nei giorni scorsi il governo ha annunciato di aver aumentato l’investimento nel suo programma accelerato di crescita (principalmente legato alle infrastrutture), portandoli dagli iniziali 62 miliard
i a 280 miliardi nei prossimi due anni. “Gli sforzi per portare liquidità sul mercato e contrastare la fuga degli investitori internazionali, può aver attenuato la crisi”, spiega una nota di Morningstar. “Ma il Brasile sta ancora soffrendo. E rischia di frenare l’intera regione di cui rappresenta il motore”.
Un concetto riaffermato anche dal ministro dell’economia Guido Mantega che, tuttavia, ha escluso (almeno per ora) una recessione. “Sul Brasile sta pesando una drastica riduzione dei crediti da parte delle banche iniziata nell’ultimo trimestre dell’anno scorso”, continua la nota. “Il risultato è che le famiglie hanno ridotto i consumi”. A farne le spese in borsa sono stati soprattutto i produttori di beni durevoli. La piazza brasiliana non ha potuto contare nemmeno sulle aziende delle commodity (storico traino), piegate dal calo dei prezzi delle materie prime.
Ma se il Brasile piange, le altre grandi economie della regione non ridono. In Venezuela il ministro per la pianificazione e lo sviluppo economico Haiman El Troudi ha già anticipato che il governo sarà costretto a rivedere al ribasso le previsioni sull’andamento del Pil di quest’anno. Le stime più ottimistiche, fino ad ora, parlano di un +1%. Colpa, anche in questo caso, dell’andamento delle materie prime. In particolare del petrolio, sulla cui esportazione si basa l’economia del Paese.
Situazione difficile in Cile in cui la congiuntura, nell’ultimo trimestre dell’anno scorso ha segnato +1,1% contro il +4,8% registrato nei tre mesi precedenti. Anche in questo caso gli esperti locali di politica economica hanno dovuto rivedere le stime sul 2009: da +4,2% a +1,2% mentre si comincia a parlare apertamente di recessione.
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