Ancora pressioni sui bond

I rendimenti stentano a salire e sono in ritardo rispetto alle stime sull’economia americana. Che continua a crescere pur a ritmi meno elevati di quelli degli ultimi trimestri. Il rallentamento dell’Europa e le attese sui tassi giustificano la nuova impennata nei titoli del Vecchio Continente.

Maria Grazia Briganti 12/04/2005 | 15:34
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Dopo la correzione iniziata a metà febbraio, con i T-bond sotto quota 4%, quello che è successo a marzo sui mercati obbligazionari, soprattutto americani, è stata la conferma di quanto va delineandosi da inizio anno: un ritardo dei rendimenti rispetto all’economia, che stentano aggiustarsi verso l’alto.

Dal 4,64% toccato il 22 marzo, i rendimenti sui decennali americani sono nuovamente caduti di 20 bp, oscillando tra i 4,40-4,44% (all’11 aprile). Un po’ poco, secondo gli operatori, per un’economia in ripresa e che viaggia su livelli pari al 3,5-4% all’anno. Ma la congiuntura americana non convince e anche il mercato azionario continua a scontare una fase di rallentamento dovuta al caro petrolio e a qualche dato macro che delude.

“In effetti”, spiega Gabriele Bruera, consigliere e gestore di Compam sicav, “il dato sui nuovi assunti a marzo, inferiore alle attese e l’indicatore PCE (Price consumer expenditure ndr) rimasto invariato, hanno posto l’accento sulla congiuntura e sui timori di spinte inflazionistiche”.

Gli investitori obbligazionari hanno dunque continuato a comprare a piene mani, soprattutto le scadenze più lunghe. La curva è tornata ad appiattirsi, limando il differenziale tra le scadenze a breve e quelle a lungo termine.

Bond americani ed europei sono stati accomunati dallo stesso andamento, sebbene con dinamiche e livelli diversi. L’economia che stenta e la politica invariata sul fronte dei tassi da parte della Banca centrale ha alimentato il rally dell’obbligazionario di Eurolandia. Anche qui i rendimenti del Bund sono scesi fino a toccare il 3,42% di febbraio, livello da minimo storico, per poi risalire fino al 3,55% (all’11 aprile).

Rendimenti così bassi non si inseriscono in uno scenario di tassi in salita, “a meno che la Bce non sia costretta a operare un rialzo inatteso ad esempio su un apprezzamento del dollaro fino a 1,20” continua Bruera “ a causa di un rialzo di 50bp della Fed, necessario per l’acuirsi delle spinte inflazionistiche”.

E se lo scenario resta di difficile lettura, tutti i gestori concordano nel rimanere investiti su scadenze brevi, prediligendo l’area euro e guardando con selettività sul segmento dei corporate, dopo l’allargamento degli spread a causa dell’improvviso profit warning di General Motors.

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Maria Grazia Briganti  è stata editor & analyst di Morningstar Italy

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