L'ombra delle retrocessioni

Dopo le gestioni in fondi, la scarsa trasparenza e le pratiche di investimento ambigue mettono sotto accusa anche i fondi di fondi.

Maria Grazia Briganti 30/11/2001 | 15:53
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Commissione di retrocessione, ovvero come farsi pagare per il fatto di aver scelto il fondo di una certa società piuttosto che quello di una sua concorrente. Secondo un recente studio condotto dalla Consob, l'accordo in base al quale la società che gestisce un fondo di fondi beneficia della restituzione parziale delle commissioni di gestione da parte del fondo sottostante, in Italia è una prassi seguita da tutte le società che gestiscono fondi di fondi. All’estero, in Francia, Regno Unito e Usa, invece è vietata.

Il conflitto di interesse

In capo al gestore si viene a creare un conflitto di interes

se non trascurabile. L'incentivo del gestore a preferire un fondo perché la società bersaglio restituisce parte delle commissioni di gestione alla sgr (e non al fondo, si badi bene) va non solo contro l’interesse dei risparmiatori, ma crea distorsioni e inefficienze all'intero sistema. Basti pensare a cosa significa investire solo nei comparti delle società con cui sono stati stipulati accordi e tra queste preferire i comparti con commissioni di gestione più alta.

A parità di percentuale retrocessa, la sgr che gestisce il fondo di fondi (o la gpf, visto che gli accordi si estendono anche a loro) si assicura un ricavo maggiore. Gli Oicr con commissione di gestione basse risulterebbero dunque meno appetibili di altri, subendo di conseguenza una pressione al rialzo dei costi che danneggerebbe tutto il risparmio gestito italiano.

Chi ne fa le spese

Naturalmente a farne le spese è l'investitore finale: in termini di una meno efficiente gestione del proprio risparmio, pilotata più dalla convenienza di ottenere entrate maggiori verso la sgr, che dalla ricerca del giusto ed efficiente grado di diversificazione, e soprattutto in termini di costi.

Dalle statistiche della Consob emerge non solo che le sgr selezionano i fondi che assicurano loro maggiori retrocessioni, ma che il 23% degli accordi di retrocessione stipulati è subordinato all'acquisto da parte del fondo di classi di azioni più costose, cioè quelle di solito destinate al cliente retail e non all’istituzionale, quale è appunto un fondo multimanager. Questo stratagemma costa al sottoscrittore tra il 28 e il 60% in più del dovuto e, allo stesso tempo, costituisce una voce rilevante di entrata per le società.

Il meccanismo della retrocessione

A voler stare dalla parte del risparmiatore sarebbe più corretto che i proventi che derivano dalla restituzione di una parte delle commissioni di gestione del fondo bersaglio entrino a far parte del patrimonio del fondo di fondi, dato che sono di sua pertinenza, e non invece, come accade, si trasformino in reddito solo per la sgr, senza che i sottoscrittori possano beneficiarne. Ma qui è giungla, perché le sgr non hanno vincoli sull’imputazione della retrocessione.

Solo una società, tra le dieci analizzate, non percepisce alcun profitto dalle retrocessioni, accreditandole direttamente al patrimonio del fondo. Si tratta di un provento che in soli quattro mesi si è rivelato "quasi sufficiente a compensare l'intera commissione di gestione della società", sottolinea lo studio, con conseguenze positive sulla performance del fondo.

Il peso di questi costi nascosti

“Il fondo di fondi”, conclude lo studio, “sopporta in media costi totali di gestione doppi rispetto a quelli dichiarati nel prospetto”. Colpa delle commissioni di gestione pagate agli Oicr bersaglio. Tutto questo però non è evidenziato in nessun luogo e, anzi, tanto più i costi aggiuntivi che derivano dagli accordi di retrocessione sono occulti, tanto più le commissioni di gestione di questi prodotti dichiarate in prospetto sono basse, suggerendo così al cliente che si tratta di prodotti competitivi quando in realtà non lo sono.

Cosa dice la legge

Un regolamento della Consob prevede che, a certe condizioni, il gestore possa operare in conflitto di interessi, ma obbliga la sgr a organizzarsi in modo da ridurre al minimo il rischio di incorrere in tali conflitti. Non solo, i gestori sono obbligati a operare al fine di contenere i costi a carico degli investitori per le gpf, e degli Oicr per le gestioni collettive. Senza dimenticare, infine, l'obbligo del gestore alla best execution, cioè alla gestione eseguita alle migliori condizioni possibili, principio evidentemente non rispettato nel momento in cui, in presenza di due classi di azioni, il gestore opti per quella più costosa.

Non sembra però che tali norme, peraltro sancite dalla stessa Consob, abbiano trovato applicazione nel caso dei fondi di fondi.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Maria Grazia Briganti  è stata editor & analyst di Morningstar Italy

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