I Pir francesi non sfondano

Oltralpe questi strumenti sono disponibili dal 2014, ma non hanno riscosso il successo sperato. I “cugini”, infatti, preferiscono altre opzioni più flessibili.

Valerio Baselli 17/10/2017 | 09:46
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I Pir (Piani individuali di risparmio) hanno riscosso un grande interesse da parte degli investitori italiani. Nonostante questi strumenti si rifacciano a esperienze già “vissute” in mercati esteri, non sempre i risultati sono confrontabili.

Ne sono un chiaro esempio i piani PEA-PME francesi, forse lo strumento finanziario estero più simile ai Pir italiani. Ma prima di scendere nel dettaglio, facciamo chiarezza.

Un po’ di storia
I PEA-PME (Plan d’Epargne en Actions – Petites et Moyennes Entreprises) nascono nel 2014 e sono il proseguimento naturale dei PEA, lanciati nel lontano 1992.

I PEA classici sono piani di risparmio il cui portafoglio deve avere almeno il 75% esposto a titoli azionari dell’Eurozona (più l’Islanda), in cui è concessa una parte di liquidità ma non di titoli obbligazionari, e che prevedono forti vantaggi fiscali per i residenti fiscali in Francia che li detengono almeno cinque anni (nessuna imposta sulle plusvalenze, eccezion fatta per i prélèvements sociaux, una specie di tassa previdenziale). L’investimento massimo previsto è di 150 mila euro.

I PEA-PME sono la versione dei PEA dedicati alle piccole e medie imprese, come i Pir in Italia. Altra differenza, l’investimento massimo previsto è di 75 mila euro.

Secondo i dati Morningstar, attualmente in Francia ci sono 8.900 fondi disponibili alla vendita (contando una sola classe per fondo). Di questi, 1.240 sono selezionabili in un PEA e 70 possono essere inclusi in un PEA-PME. 

Flussi deludenti
Secondo uno studio della Banca di Francia al 31 marzo 2017, a oltre due anni dalla loro nascita, solo 58 mila francesi avevano scelto di aprire un PEA-PME. Il patrimonio gestito complessivo è di 900 milioni di euro, una cifra molto distante dalle speranze iniziali. Le autorità, infatti, avevano stimato in due miliardi la raccolta prevista solo nel primo anno.

Il confronto con i “fratelli maggiori” PEA è impietoso: alla fine del primo trimestre di quest’anno, in Francia si contavano 4,1 milioni di PEA aperti, per 89 miliardi di patrimonio gestito.

Il motivo principale, oltre alla longevità dei secondi, è che i titoli small e mid cap selezionabili per un PEA-PME rientrano anche in un PEA classico, ma non è vero il contrario (le big cap non possono entrare in un PEA-PME), il che rende l’apertura di quest’ultimo meno interessante, visto che i vantaggi fiscali sono gli stessi.

In pratica, i motivi reali che potrebbero spingere a preferire un PEA-PME rispetto al PEA classico sono due: nel caso in cui si fosse interessati unicamente all’investimento in piccole e medie imprese, oppure nel caso in cui si avesse già raggiunto il limite dei 150 mila euro e si volesse continuare a investire in questo tipo di piani per un interesse fiscale.

In Francia, infatti, è in corso un dibattito riguardante appunto le possibili manovre per rilanciare questo strumento: c’è chi chiede una fiscalità ancora più vantaggiosa per i PEA-PME, oltre alla proposta di inserire questo tipo di piani all’interno dei contratti di assicurazione sulla vita, lo strumento di risparmio di gran lunga più “amato” dai nostri cugini transalpini (il 53% dei francesi ne detiene uno secondo un recente sondaggio Ipsos).

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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