Le migliori pensioni parlano inglese

Il confronto tra i sistemi previdenziali del Vecchio continente premia i paesi anglosassoni e del nord Europa che meglio riescono a coniugare sostenibilità finanziaria, equità e rendimento del fondo pensione. L’Italia è nelle retrovie. 

Francesco Lavecchia 16/11/2015 | 09:55
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Chi pensa che il buon ritiro sia sulle spiagge dei Caraibi sbaglia. Le pensioni migliori le hanno i lavoratori inglesi e scandinavi. Questi paesi, infatti, sono tra i pochi a essere riusciti a realizzare sistemi pensionistici in grado di conciliare le esigenze di equità e di sostenibilità finanziaria e di tutelare al meglio i risparmi del lavoratore.

I governi di tutto il mondo sono stati costretti, per esigenze di bilancio, a riformare la loro previdenza. La transizione da un sistema completamente gestito dallo Stato, finanziato attraverso la leva fiscale e contributiva e a prestazione definita a uno schema a contribuzione definita, nel quale la pensione è il risultato degli investimenti del fondo in cui sono confluiti i risparmi del singolo individuo, è un passaggio obbligato al quale nessun paese può sottrarsi.

Negli ultimi anni i legislatori hanno messo mano alle riforme per riuscire a trovare il giusto mix tra sostenibilità finanziaria, equità sociale e tutela del lavoratore-investitore. In tutti i paesi si è assistito all’innalzamento dell’età pensionistica (mediamente attorno ai 67 anni) e dell’anzianità contributiva (dai 35 ai 37 anni), e alla sostituzione del primo pilastro previdenziale (quello pubblico a finanziamento contributivo e fiscale obbligatorio) con il secondo (legato ai fondi di categoria o professionali) e il terzo (quello integrativo ad adesione individuale). Gli esperimenti nel Vecchio continente hanno avuto esiti contrastanti. I risultati premiano i paesi anglosassoni e quelli del mord Europa, mentre l’Italia resta nelle retrovie.

I segreti del successo
“Il successo di un sistema previdenziale non si misura soltanto sulla base della sua sostenibilità finanziaria, ma anche dalla capacità dello stesso nel garantire al pensionato un adeguato tasso di sostituzione (rapporto tra rendita da pensione e salario). L’innalzamento dell’età pensionistica ha risposto al primo problema, ma affinché una riforma abbia davvero successo deve fare leva su più fattori. Le agevolazioni fiscali da parte dello Stato, una maggior educazione finanziaria della popolazione e il grado di trasparenza del sistema hanno un impatto determinante sul livello di adesione agli schemi di previdenza complementare, ma questo non è sufficiente. L’evidenza empirica dimostra come un approccio di gestione dei fondi pensione più flessibile garantisca rendimenti più generosi, e quindi un tasso di sostituzione più alto”, dice Lorenzo Savorelli, Head of Group Insurance Research di Generali Investments.

In paesi in cui c’è una maggiore educazione finanziaria i lavoratori non hanno timore a sottoscrivere una forma di previdenza complementare. I dati relativi al rapporto tra il patrimonio investito in fondi pensione e il Pil (Fonte: Ocse Global Pension Statistics del 2014) mostrano come l’Olanda sia prima, con un ratio pari a  pari a 161,1%, seguita da Svizzera (125,6%) e Regno Unito (96%). Mentre l’Italia viaggia in coda al gruppo con un rapporto del 6,6%. Nonostante gli ultimi interventi normativi, gli italiani si mostrano ancora scettici nei confronti della previdenza complementare. Dal 2011 al 2014, il tasso di sottoscrizione è salito dal 24,1% al 29,4% (Elaborazione da parte di Generali Investments su dati Covip e Istat del 2014), con un grado di partecipazione dei dipendenti pubblici che non supera il 5%. Un altro fattore determinante, in questo senso, è rappresentato dalla trasparenza del sistema.

“La coerenza nel tempo del trattamento fiscale dei contributi pensionistici e la possibilità di avere una fotografia chiara delle prospettive future della rendita che ci si aspetta dopo l’età lavorativa, sono due elementi che hanno un peso significativo nel successo di una riforma pensionistica. La Germania è un ottimo esempio di come gli sgravi fiscali abbiano prodotto una forte adesione alle forme di previdenza complementare, mentre le famose buste arancioni, inviate periodicamente ai cittadini svedesi per misurare i tempi di maturazione dei requisiti per il pensionamento e il valore economico dell’assegno sono un modello a cui fare riferimento in quanto a trasparenza”, aggiunge Savorelli.

La maggior flessibilità rende
Un altro elemento determinante, molte volte dimenticato dai legislatori è quello relativo all’approccio di gestione del fondo. In passato i vincoli nella gestione degli investimenti pensionistici erano molto più stringenti (ad esempio il divieto di inserire determinate asset class o le garanzie di rendimento minimo) poiché si pensava che un’asset allocation prudente desse maggiori garanzie al lavoratore in termini di rischio/rendimento. L’evidenza empirica, però, ha dimostrato come una maggior flessibilità riesca a garantire un più elevato tasso di sostituzione.

“I dati dell’Ocse mostrano come nei paesi in cui vige l’approccio Prudent Person Rule (PPR, in cui vale una regola comportamentale nell’investimento, che deve basarsi appunto sul principio di prudenza, e impone un costante monitoraggio del processo decisionale), la percentuale di asset investiti in azioni è significativamente più elevata (vedi Grafico 1) e il rendimento dei fondi pensione è mediamente più alto di quello realizzato da un’asset allocation bilanciata. Inoltre, mettendo a confronto le performance realizzate dai fondi pensione nel 2013, anno in cui investire in attivi più rischiosi ha pagato, comparti che hanno adottato un approccio PPR hanno registrato performance significativamente più elevate rispetto a quelli che hanno aderito a modelli più quantitativi (Grafico 2). Nel periodo preso in considerazione, ad esempio, il fondo Cometa, ha guadagnato il 3,2%, mentre il britannico USS e lo spagnolo Endesa hanno realizzato performance tre volte superiori”, conclude Savorelli.

 

Grafico 1: Fondi pensione nei Paesi OCSE: composizione del patrimonio

Grafico 2: Fondi pensione: vincoli normativi ed effetto sui rendimentiFonte dati: OCSE, Annual Survey of Large Pension Funds and Public Pension Reserve Funds, dati al 2014.
*L’adozione di un sistema di tipo PPR è successiva al periodo di registrazione della performance. Le performance passate non sono garanzia di performance future

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Info autore

Francesco Lavecchia

Francesco Lavecchia  è Research Editor di Morningstar in Italia

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