Tempi duri per i bond emergenti

Il segmento sta vivendo un momento difficile simile a quello visto nel 2013. Da allora qualcosa è cambiato, ma sono emersi nuovi problemi con cui gli investitori devono fare i conti. 

Marco Caprotti 30/09/2015 | 11:49
Facebook Twitter LinkedIn

Questa estate ha avuto un chiaro effetto di deja vu per gli investitori in bond dei paesi emergenti. Colpa delle emissioni, sia in valuta forte che in divisa locale, tutte sulla buona strada per registrare un altro anno di performance deludenti.  La categoria Morningstar Global Emerging Markets Bond in valuta locale (o Local currency) dopo il calo del 9,4% nel 2013 e del 6,4% nel 2014, in questa parte di 2015 ha segnato una perdita del 12% (fino a fine agosto e in dollari Usa). La categoria Global Emerging Markets Bond, che segue le obbligazioni in valuta forte (o hard currency), è riuscita a galleggiare nel 2014, ma ha perso più del 5% nel 2013 e circa il 2,6% quest’anno.

Qualcosa è cambiato
Il quadro ricorda quello che si è materializzato con il cosiddetto Taper tantrum del 2013, quando la Fed ha iniziato a parlare della fine del piano di stimolo all’economia Usa e di un rialzo dei tassi, spingendo gli investitori ad abbandonare gli investimenti negli emerging e creando un movimento simile a quello di quest’anno (fra luglio e agosto 2015, il rublo, il ringgit malese e il real brasiliano hanno perso il 10% rispetto al dollaro).

“Tuttavia ci sono importanti differenze fra il sell-off di quest’estate e quello del 2013”, spiega Shannon Kirwin, analista di Morningstar. “I danni peggiori si sono visti sul mercato valutario più che su quello dei bond. La ragione va ricercata nel contesto. Due anni fa le vendite erano state scatenate dal pericolo dei tassi che aveva reso meno interessanti le scadenze lunghe dei bond emergenti. All’epoca poi, c’era stato un grande movimento di vendita da parte degli hedge fund. Due elementi che, quest’anno, sono stati poco evidenti”.

Un’altra differenza fra allora e oggi è nel comportamento degli investitori in fondi. Fra giugno e agosto del 2013, a livello globale, c’era stato un deflusso di 27 miliardi di dollari dai fondi specializzati sul debito emerging. In quell’occasione a subire i riscatti maggiori erano stati i prodotti venduti in Europa rispetto a quelli distribuiti in Usa. Questa estate il trend si è invertito. Per qualcuno è il segnale che i fondi europei dedicati ai bond emergenti sono in mano principalmente agli investitori istituzionali, meno propensi dei risparmiatori a farsi venire la tremarella. “Per chi deve fare i conti con le perdite registrate da queste categorie di fondi è una magra soddisfazione”, dice l’analista. “Ma, almeno, possono non avere paura di improvvise ondate di vendite dettate dal panico”. Nelle tabelle sotto ci sono i fondi individuati dall’esperto di Morningstar (sia in valuta hard sia local, tutti disponibili in Italia a eccezione di quello di Investec) che hanno retto meglio degli altri agli scossoni di quest’estate e che, spiega Kirwin, “godono ancora della nostra fiducia nel lungo periodo”.

 

Bond hard

 Bond local 

La colpa degli emerging
Ma cosa è successo questa volta per far aumentare i sudori freddi al mercato? Il caso di cui tutti hanno parlato è stato la Cina, da dove sono arrivate una serie di cattive notizie macro che hanno fatto temere una frenata improvvisa della prima economia emergente del mondo. Una situazione preoccupante soprattutto per paesi come Cile, Russia e Sudafrica che dipendono fortemente dalla domanda di materie prime del colosso asiatico. Ad alimentare le tensioni è arrivata poi la decisione della Banca popolare cinese di svalutare lo yuan. Una scelta che ha aumentato le preoccupazioni sulla tenuta delle congiuntura del paese asiatico e che molti hanno temuto potesse essere copiata da altri.

Poi è stata la volta del Brasile che ha dovuto (e deve) fare i conti con la debolezza del prezzo delle commodity (a cui è legato il suo export) e con una serie di scandali legati alla corruzione che hanno bloccato gli investimenti e i processi di riforme. Certo, il peso del Brasile nel contesto finanziario mondiale è inferiore a quello di Pechino. Tuttavia il paese sudamericano rappresenta una larga fetta degli indici dedicati al debito emerging. Un peso che si è fatto sentire quando i giudizi sui bond brasiliani sono stati portati a livello di junk (spazzatura).

Ma qual è la situazione adesso e cosa devono aspettarsi gli investitori? “La fase negativa sta continuando e gli operatori si stanno preparando a un altro periodo di rendimenti negativi”, spiega l’analista di Morningstar. “Il mercato dovrà fare i conti con elementi di incertezza come le elezioni in Turchia, la debolezza dei prezzi delle commodity e la situazione delicata della Cina. Quello che è successo in questi mesi dovrebbe ricordarci che i fondi dedicati ai paesi emergenti – sia bond che equity – andrebbero usati con cautela e avendo un orizzonte temporale di lungo periodo”. 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

Facebook Twitter LinkedIn

Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

© Copyright 2024 Morningstar, Inc. Tutti i diritti sono riservati.

Termini&Condizioni        Privacy        Cookie Settings        Disclosures