I mercati emergenti segnano il passo. L’indice Msci che raccoglie i paesi in via di sviluppo nell’ultimo mese (fino al 2 giugno e calcolato in euro) ha perso il 3,4%, portando a +14,5% la performance da inizio anno.
La fuga degli investitori si spiega in parte con il peggioramento delle prospettive di crescita globale (che ha convinto gli investitori ad allontanarsi dagli asset considerati più rischiosi) ma, anche, con il prossimo rialzo dei tassi Usa che spinge gli operatori ad orientarsi su attività finanziarie denominate in dollari.
Non mollare gli emerging
Una scelta che, guardando ai numeri potrebbe essere controproducente. La Banca mondiale ha da poco rivisto al ribasso le stime per i paesi sviluppati che, quest’anno dovrebbero registrare una crescita del 2,2% che diventerà +2,4% nel 2016 e +2,2% nel 2017. Lo scenario dipinto per gli emerging mostra un’altra direzione: +4,8% quest’anno, +5,3% il prossimo e +5,4% quello seguente. Entro il 2020, inoltre, il Pil di Cina e India in aggregato supererà quello degli Usa. Secondo i calcoli del Fondo monetario internazionale, peraltro, il Pil dei paesi emergenti dal 2014 ha già superato quello delle aree sviluppate.
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