La doccia fredda americana

I dati macro arrivati nelle prime settimane del 2014 dagli Usa hanno deluso gli investitori e fatto sorgere interrogativi sull'ampiezza della ripresa. Ma i motivi per essere ottimisti, dicono gli operatori, non mancano

Marco Caprotti 04/02/2015 | 15:05
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L’America tira il freno e la Borsa si adegua. Ma, avvertono gli operatori, dovrebbe trattarsi di una fase momentanea. L’indice S&P relativo alla piazza Usa nell’ultimo mese (fino all’1 febbraio e calcolato in euro) ha perso il 2,5%. Un andamento inevitabile di fronte alla raffica di dati macro deludenti sparata dalla prima economia del mondo.

Il più inaspettato è stato quello relativo al Pil che, nel quarto trimestre 2014, ha registrato un progresso del 2,6%, scendendo dal +5% del terzo trimestre e dal +4,6% del secondo. I dati sono inferiori alle stime degli analisti che avevano messo in conto un progresso del 3,2%. Nell’intero 2014 il Pil ha registrato un’espansione del 2,4%, leggermente al di sopra della media del 2,2% registrata tra il 2010 e il 2013. Negli anni '90, invece, l’economia Usa cresceva a un tasso del 3,4%.

Fare i conti con la realtà
“I dati sulla frenata del Pil sono stati un bagno di realtà necessario per gli operatori”, spiega Robert Johnson, responsabile della ricerca economica di Morningstar. “Nelle ultime settimane l’attenzione degli operatori si era spostata dai timori per un rialzo dei tassi all’entusiasmo per una congiuntura che sembrava correre. Gli ultimi numeri hanno costretto tutti a tornare con i piedi per terra”. E’ vero che i consumi delle famiglie sono saliti, beneficiando anche del risparmio sulla bolletta energetica (dovuta al calo del prezzo del petrolio), “Ma, a causa della situazione difficile dell’economia globale sono calati gli investimenti delle imprese che hanno difficoltà a esportare, così come la spesa pubblica e la domanda proveniente dall'estero”, dice Johnson.

Gli ordini di beni durevoli sono inaspettatamente scesi a dicembre proseguendo un trend che li ha visti calare in quattro degli ultimi cinque mesi. E’ vero che la componente dei trasporti e della difesa può distorcere il dato (rispetto a novembre c'è stato per esempio un -56% degli ordini di aerei civili) ma il risultato è comunque in ribasso anche se vengono fatte le debite esclusioni. I dati sul real estate di dicembre sono stati contrastanti, ma comunque tendenzialmente positivi. L'indice S&P Case-Shiller mostra inoltre che i prezzi delle case nelle principali 20 aree metropolitane sono saliti nei 12 mesi finiti a novembre meno delle previsioni. Per quanto riguarda gli indicatori di sentiment, l’indice PMI composito è aumentato a 54,2 a gennaio, un miglioramento di 0,7 punti su dicembre interamente grazie al settore servizi. La fiducia dei consumatori ha aggiornato i massimi degli ultimi cinque anni salendo di quasi 10 punti a 102,9, livello che non si vedeva dall’estate 2007 prima dello scoppio della crisi.

Ripresa in vista?
I segnali di ottimismo, tuttavia non mancano. Il budget degli Stati Uniti presentato dall’amministrazione Obama punta a una crescita del Pil del 3,1% nel 2015 (2%-2,5%, la stima di Morningstar), un tasso di disoccupazione al 5,4% e il tasso di inflazione all’1,4%. Per l’esercizio 2016 il rapporto deficit/Pil si manterrà sotto la soglia del 3%, a 474 miliardi di dollari, vale a dire al 2,5%. La Casa Bianca prevede che il tasso di disoccupazione scenderà al 4,8% entro fine 2017 (attualmente è al 5,6%). Nei giorni scorsi gli investitori hanno accolto bene il calo sui minimi di quasi 15 anni delle richieste settimanali di sussidi di disoccupazione, dato che conferma il miglioramento del mercato del lavoro in Usa.

 

 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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