Draghi l'attendista non piace ai mercati

La Bce dice di essere pronta a utilizzare strumenti non convenzionali per stimolare la crescita dell'Europa. Ma, dicono gli operatori, potrebbe essere tardi. La regione, intanto, fa i conti con lo spettro della deflazione. 

Marco Caprotti 10/04/2014 | 11:39
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La tattica del presidente della Bce Mario Draghi, stavolta non convince del tutto i mercati. Il Consiglio direttivo della Baca centrale, ha spiegato il numero uno dell’Eurotower dopo l’ultima riunione, è unanime nel considerare anche l’uso di strumenti non convenzionali per contrastare i rischi connessi con un periodo troppo lungo di tassi di inflazione bassa. Un concetto ribadito nell’ultimo Bollettino ufficiale arrivato da Francoforte. Ma non è troppo tardi, si chiedono gestori e analisti, per tirare fuori dall’arsenale armi come il Quantitative easing (Qe, la creazione di nuovo denaro per comprare titoli di stato), il credit easing (aumentare l’offerta di moneta attraverso l'acquisto di titoli di debito del settore privato) o il securities market program (l’acquisto sul mercato secondario di titoli governativi e corporate di paesi in difficoltà)? Gli operatori, intanto, fanno i conti con la scelta attendista dell’istituto centrale.

Cosa aspetta Draghi?
“La Bce continua a porre una forte enfasi sulla questione dell’inflazione bassa nel lungo periodo, al punto che si potrebbe cominciare a mettere in dubbio la fiducia nutrita dall’istituto di Francoforte nelle sue stesse stime di aumento dell’inflazione entro il 2016 come invece previsto il mese scorso”, spiega una nota firmata da Patrice Gautry, capo economista di Union Bancaire Privée. “Il target del 2% sembra spostarsi sempre più in avanti e appare sempre più un sogno piuttosto che una probabilità. Nessuno sa quanto la Bce aspetterà prima di intervenire riguardo ai dati sull’inflazione bassa, né quale livello di inflazione farà scattare queste misure straordinarie.  La Bce è sempre stata responsabile e ha diverse armi a sua disposizione, che può utilizzare come meglio crede. La scelta di non decidere rafforza l’idea che non agisca in previsione delle reazioni dei mercati, delle difficoltà economiche o dei vincoli, ma aspetti invece dati concreti, che scuotano profondamente le proprie convinzioni. Dal punto di vista dei mercati, questo dà l’impressione che le misure siano sempre posticipate, o persino adottate troppo tardi rispetto alle attese. Tuttavia, una volta presa la decisione di intervenire, l’azione della Bce ha effetti persino maggiori ed è sostenuta da una grande determinazione”.

Resta il fatto che in Europa lo spettro della deflazione si fa più vicino. “Essendovi timori per il debito simili a quelli degli Stati Uniti, la Bce sta certamente considerando opzioni di intervento più creative rispetto a quanto fatto finora”, spiega un report di Mark Burgess, responsabile degli investimenti di Threadneedle Investments.  “ Siamo convinti che eventuali nuove misure sarebbero lanciate da una posizione di debolezza e avrebbero già dovuto essere introdotte, alla luce della debole attività economica, di una periferia estremamente fragile e di un’inflazione ostinatamente bassa” dice Burgess.

L’unica cosa che sembra certa è che fino a quando non si taglieranno i tassi (misura convenzionale) non si procederà con mosse più ardite. “Draghi ha già utilizzato la tecnica delle dichiarazioni verbali senza poi mettere in pratica alcuna mossa effettiva. Ma, a differenza del Qe, per gli Omt servivano delle condizioni particolari d’attuazione, tra cui le richieste di attivazione da parte dei singoli governi”, spiega una nota di Matteo Paganini, capo analista di Fxcm. “Si attendono eventuali nuove dichiarazioni in tal senso per formare delle aspettative reali di interventismo, cosa che per il momento esiste e non esiste. Si crede ancora nella Bce. Ma questa volta, di fronte ad una situazione di peggioramento dell’inflazione di breve (che potrebbe muovere le aspettative su quella di lungo) e a una stagnazione dell’attività produttiva bisogna fare qualcosa.

Le scelte operative
“La situazione presenta alcuni rischi, tra cui un senso di sicurezza e autocompiacimento degli investitori riguardo all’Eurozona, partendo dal presupposto che un’imminente ripresa della crescita risolverà ogni problema. Il calo dell’inflazione implica l’aumento dei rendimenti obbligazionari reali nelle economie in difficoltà dell’Eurozona, questo rende l’espansione dell’economia, necessaria a stabilizzare le finanze dei governi, evento ancora poco probabile. Inoltre, la crescita del credito è negativa, i bilanci delle banche precari e l’euro è rimasto forte. Mentre emergono le premesse per un rinnovato inasprimento della crisi, i Paesi nordici non mostrano nessuna propensione a operazioni di salvataggio. La Bce potrebbe essere spinta a confermare una politica monetaria espansiva, ma non fino a quando non sarà costretta dalle circostanze”, spiega una nota di Philip Saunders, gestore di portafoglio e co-responsabile del team Multi-Asset di Investec Asset Management.Riteniamo che gli investitori debbano dimostrarsi pazienti in tutte le asset class, adottando una prospettiva pluriennale anziché concentrarsi esclusivamente sulle performance di quest’anno ed evitando di sperperare i rendimenti nel tentativo di operare su mercati tranquilli. Tendenzialmente ci affidiamo ad un modello di selezione dei titoli di tipo bottom-up, con tutto ciò che ne consegue, anziché guardare alle regioni in un’ottica top-down. Le valorizzazioni tirate sul mercato statunitense, rispetto ad altre aree geografiche, in parte quale conseguenza dei prezzi nei settori a crescita elevata, sembrano indicare come necessario un cambiamento della leadership sul mercato a supporto della prossima fase di rialzo. Nel frattempo, i timori riguardo a una drastica contrazione sono probabilmente eccessivi. Abbiamo ridotto l’esposizione sugli Stati Uniti rispetto a 12 mesi fa. Riteniamo ancora interessante l’Europa continentale”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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