Il 2014 non vuol perdere la faccia

La bufera sui listini e le notizie negative che arrivano dagli emerging stanno facendo innervosire gli investitori. Ma, dicono gli operatori, si tratta di temporali passeggeri. Le previsioni positive su quest'anno, aggiungono, sono ancora valide. 

Marco Caprotti 05/02/2014 | 14:40
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Punti chiave
-L’andamento delle prime settimane del 2014 sembra mettere in dubbio le ottimistiche previsioni fatte alla fine del 2013.

-La crisi degli emergenti, dicono gli operatori, è momentanea e sta creando opportunità di investimento.

-La ripresa dei paesi sviluppati, aggiungono, continuerà.

“L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Devono averla pensata come Gino Bartali molti investitori rileggendo le ottimistiche previsioni preparate alla fine dell’anno scorso alla luce dei disastrosi andamenti delle Borse nelle ultime settimane. Una serie di sell off scatenati da una catena di tempeste sui mercati emergenti che sembrano rimettere in discussione la ripresa delle piazze mondiali in generale e di quelle delle regioni sviluppate in particolare.

La situazione degli emerging…
Gli strategist e i gestori, da parte loro, non mollano il punto. “Paesi i cui problemi campeggiano nei titoli dei giornali, come Venezuela, Argentina, Turchia o Ucraina, rappresentano solo una piccola porzione dell’universo dei mercati emergenti”, spiega una nota firmata da Asoka Woehrmann, co-responsabile degli investimenti di Deutsche Asset & Wealth Management. “Il governo cinese dovrebbe riuscire a impedire che la crescita economica scenda di oltre il 7%. Le previsioni sul Brasile non sono state molto elevate recentemente, anche se il Paese detiene riserve valutarie sufficienti per sostenere il Real. Intanto in Indonesia, grazie allo sviluppo della domanda interna, l’indice dei direttori degli acquisti è cresciuto”.

La crisi dei mercati emergenti è nata, in parte, anche dalla decisione della Federal Reserve di ridurre le iniezioni di liquidità all’economia americana. Una scelta che ha convinto gli investitori a tornare a investire in asset made in Usa, abbandonando quelli delle zone in via di sviluppo. “Dal punto di vista operativo sui mercati ora siamo in un momento interessante”, spiega Emma Wall, analista di Morningstar. “La decisione della Fed avrà un impatto di breve durata sui mercati emerging e, al momento, le azioni di queste regioni sono interessanti anche dal punto di vista delle valutazioni storiche. Se è vero che la crescita in molti paesi emergenti è rallentata, è altrettanto vero che i fondamentali continuano a suggerire un investimento in queste zone”.

…e quella dei developed
In mezzo a tutto questo non si attenua l’ottimismo sulla congiuntura dei paesi sviluppati. “Le economie che hanno attuato le riforme più energiche e rigorose possono attendersi oggi una significativa accelerazione della crescita rispetto al 2013”, spiega uno studio di Dan Ison, gestore di portafogli azionari europei di Threadneedle. “Prevediamo che l’espansione dei fatturati favorirà un miglioramento degli utili nel 2014, consentendo loro di portarsi al passo con quelli di altri mercati sviluppati. Nel complesso, sembra che il tema europeo per il 2014 sarà andare lunghi su sangria e panettone e corti su sauerkraut e champagne”.

Non destano eccessive preoccupazioni nemmeno alcuni dati arrivati dagli Usa. Certo, l’indice Ism che misura l’andamento del settore manifatturiero degli Stati Uniti a gennaio è scivolato a 51,3 punti (minimo dallo scorso maggio) dai 56,5 punti di dicembre, un calo molto più marcato di quello previsto dagli analisti, i quali avevano stimato una lettura a 56 punti. Ma, dicono gli operatori, sarà proprio la manifattura a guidare la ripresa americana, così come ha fatto nel corso del 2013. “Le innovazioni tecnologiche nel settore energetico hanno permesso agli Usa di produrre più petrolio e gas naturale. I benefici di questo boom energetico sono numerosi e maggiori di quanto si possa prevedere oggi”, spiega un report di Joseph Carson, economista e direttore della ricerca globale di AllianceBernestein. “Ci saranno maggiori investimenti nel segmento dell’energia, con ricadute positive per altri settori e per l’economia in generale. Non dimentichiamo che il petrolio e il gas naturale sono i due elementi principali da cui parte la produzione di materie plastiche usate per una grande varietà di beni di consumo”. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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