Punti chiave
-La salute delle banche europee è migliorata?
-Gli indicatori di rischio sono troppi e molto complicati.
-Quali sistemi di valutazione dovrebbero utilizzare gli investitori?
-Meglio essere prudenti e concentrarsi sugli istituti più capitalizzati e con un maggiore vantaggio competitivo.
Mentre la Banca centrale europea si prepara a completare un altro round di stress test per gli istituti del Vecchio continente, noi ci chiediamo se l’Eurotower si stia concentrando sui giusti elementi di valutazione. Inoltre, alla luce dell’aumento delle valutazioni visto nel corso degli ultimi 16 mesi, iniziamo a pensare che gli investitori siano troppo ottimisti. Riconosciamo che le banche sono in una forma migliore rispetto al passato, visto che il Core Tier1 (una misura della patrimonializzazione) è migliorato passando dal 10% del 2012 al 13,5%. Tuttavia sottolineiamo che la capitalizzazione non è cresciuta ai livelli che si attendevano le autorità di controllo.
La salute delle banche
I titoli bancari sono cresciuti del 66% da quando, a luglio del 2012, il presidente della Bce, Mario Draghi, ha promesso che avrebbe fatto tutto il possibile per salvare l’euro. Questo, unito alla richiesta di regole più stringenti per quanto riguarda i capitali ha convinto gli investitori che gli istituti del Vecchio continente fossero sulla strada giusta per tornare in forma. Secondo noi questa è un’opinione pericolosa, visto che le banche della regione hanno ancora forti debiti. La Banca centrale europea, intanto, si sta preparando ad assumere il controllo della revisione degli istituti di credito e a fare un Comprehensive Assesment nel 2014.
Secondo noi l’Eurotwer scoprirà che la maggior parte delle banche che noi seguiamo sono in un discreto stato di salute. Molti istituti, infatti, si sono preparati diligentemente per i test ripulendo i bilanci e facendo aumenti di bilancio. Secondo molti parametri di misurazione gli istituti della regione sono meno rischiosi rispetto a qualche anno fa: il debito governativo greco è stato eliminato, i rendimenti dei governativi europei sono scesi, sono state trovate nuove formule di finanziamento e sono stati aumentati i criteri di patrimonializzazione. Nel frattempo le previsioni sull’andamento economico dell’Europa sono migliorate. La congiuntura del Regno Unito gira a ritmi più veloci mentre, secondo i calcoli di novembre dell’Ocse, l’area euro nel 2014 sarà completamente fuori dalla recessione. Tutti elementi che non sono sfuggiti agli investitori. Secondo una ricerca del Financial Times, da giugno a novembre, il numero di azioni di istituti del Vecchio continente detenuti da fondi di investimento americani è cresciuto del 10%, segnando un deciso cambio di marcia rispetto al 2011.
Tutte le banche europee che copriamo hanno raggiunto un Core Tier 1 del 10%: un livello che, secondo Basilea III, avrebbero potuto toccare nel 2019.
Tutte queste, però, sono considerazioni che valgono nel breve termine. Nel complesso, infatti, la struttura di capitale delle banche continua a fare eccessivo affidamento sui debiti. Un elemento questo, che sarà sotto la lente dell’autorità di controllo e che finirà per condizionare i rendimenti di molti istituti. Soprattutto per gli investitori di lungo termine. Molte banche, infatti, dovranno provvedere a nuovi aumenti di capitale (che diluiscono il valore delle azioni esistenti) e si asterranno da un aumento dei dividendi e dalle operazioni di buy back, stringendo due rubinetti che di solito forniscono valore ai soci.
Gli indicatori di rischio
Gli accordi di Basilea I erano raccolti in un documento di 30 pagine. Quelli di Basilea II, firmati nel 2004, venivano spiegati in 347. La normativa Basilea III è formata da 509 pagine e include 78 equazioni di calcolo. Le direttive europee che servono a implementare l’accordo sono spiegate in 2mila pagine (ma alcuni capitoli devono essere ancora completati). Per una singola grande banca tutto questo si traduce in 200 milioni di calcoli per arrivare ai livelli di rischio. Una situazione impossibile sia per chi dovrà fare i test sia per gli investitori. A parte la mole di lavoro che implicano, basterebbe un semplice errore di calcolo in uno dei modelli di analisi per mandare a monte tutto quanto. Negli Stati Uniti è già successo nel 2012 con JP Morgan quando, per un motivo del genere è stato sottostimato del 50% il suo value at risk (una misura delle potenziali perdite).
Il profilo di rischio, poi, può variare da banca a banca, a seconda del modello di business. E questo complica ulteriormente la valutazione di un istituto.
Quale sistema utilizzare
Da quando sono scoppiate le ultime crisi finanziarie, che hanno colto le authority di controllo impreparate, le banche hanno avuto il fiato sul collo per aumentare il capitale e ridurre l’esposizione agli asset di investimento considerati tossici. Uno dei cambiamenti che questo ha portato è stato il progressivo passaggio dalla normativa Basilea I a Basilea III, che richiede migliori parametri di capitalizzazione e di valutazione dei rischi. I sistemi studiati, però, per i motivi illustrati sopra, rischiano di non funzionare.
Secondo noi il rapporto fra le cosiddette Tangible common equity (Tce, indica tutti i titoli che non sono di privilegio e non sono asset intangibili. Viene utilizzato come misura di salute finanziaria di un’azienda oltre a indicare quanto spetterebbe a un’azionista in caso di fallimento della società, Ndr) e gli asset tangibili (proprietà immobiliari, terreni, uffici, eccetera) dà indicazioni più esatte. Si tratta, tra l’altro, di un sistema che presto potrebbe diventare di uso comune negli Stati Uniti e in linea con alcune raccomandazioni arrivate dall’Ocse e dal Fondo monetario internazionale, perché consente di tenere conto anche dei diversi modelli di business degli istituti di credito.
In conclusione
Anche se le previsioni per le banche europee sono migliorate, consigliamo agli investitori con una visione di lungo periodo di essere cauti. Il recente rally che ha interessato i titoli del settore è stato indiscriminato. Dal punto di vista operativo è un segnale importante per uscire dagli istituti più traballanti e concentrarsi sui nomi di maggiore qualità. L’ideale sarebbe orientarsi sulle banche più capitalizzate e con un miglior vantaggio competitivo. In base a questi criteri (e alle valutazioni rispetto ai nostri target price) Hsbc, Standard Chartered, Ubs, Lloyds Banking Group e Bnp Paribas sono i nomi più interessanti.
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