Mercati europei ostaggio della politica

Il rischio politico incombe sul Vecchio continente. Il caso cipriota e l’instabilità italiana sono solo gli ultimi due esempi. Frédéric Rollin di Pictet preferisce, quindi, Cina e Usa.

Valerio Baselli 16/04/2013 | 17:05
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I liberisti più convinti hanno sempre sostenuto che lo Stato, ovvero il potere politico, non debba interferire con l’attività di mercato. Eppure, l’evidenza empirica ci mostra quanto questo sia difficile, se non impossibile. La politica, l’economia e i mercati finanziari sono strettamente legati tra loro, e questo legame si fa ancora più forte in momenti di forte incertezza e instabilità (per approfondire, clicca qui).

Non sorprende quindi che gli investitori inseriscano sempre più il fattore politico nelle loro scelte d’investimento. “Pensiamo che in questo momento più che mai la visione macroeconomica possa fare la differenza attraverso la scelta delle aree geografiche su cui investire”, afferma Frédéric Rollin, responsabile della strategia d’investimento di Pictet Asset Management. “Gli avvenimenti più importanti degli ultimi mesi sono stati senza dubbio il problema del Fiscal cliff negli Stati Uniti, le elezioni e lo stallo politico in Italia e la crisi cipriota”.

Il labirinto europeo
“Nel Vecchio continente la situazione si fa sempre più complessa”, prosegue Rollin, “e se il mercato ha tenuto il colpo finora è solo grazie a Mario Draghi, ma anche qui, siamo convinti che l’influenza benefica della Banca centrale europea sia destinata a durare poco”. Quello che preoccupa maggiormente, manco a dirlo, è la situazione italiana, dove formare un governo sembra un’impresa molto ardua. “Pensiamo che in Italia si tornerà al voto quest’estate, con il pericolo di una nuova ondata antieuropeista e con la certezza che le riforme strutturali verranno ancora una volta posticipate. Il problema è che una situazione del genere blocca l’intera macchina europea”.

Diverso invece il caso di Cipro, valutato più in un’ottica di lungo periodo. “Cipro conta lo 0,2% del Pil europeo e siamo convinti che nel breve non ci saranno grosse conseguenze per l’economia del continente. Il problema di Cipro è il sistema bancario, troppo grosso e importante rispetto all’economia reale; un sistema finanziato dai depositi e non dai prestiti obbligazionari. Perciò le autorità sono state costrette a rifarsi sui conti correnti e non sui creditori. Il problema vero sarebbe avere in futuro altri sistemi bancari nella stessa situazione, magari molto più importati, come quello spagnolo ad esempio”, afferma il gestore. “Detto questo, con Cipro si è rotto un tabù; con il prelievo forzoso sui conti si è creato un precendente da non sottovalutare”.

La rinascita del consumatore a stelle e strisce
Se in generale Rollin non si fida dell’azionario europeo (tranne di quelle società con un business ampio e internazionale ingiustamente sottovalutate, come Telefonica, precisa il gestore), resta molto positivo sulle due prime economie del mondo, decisamente più stabili dal punto di vista politico: Stati Uniti e Cina.

“La strategia espansiva della Federal Reserve, che continuerà almeno fino al 2015, sta dando i suoi frutti e possiamo dire che negli Usa la crisi è praticamente alle spalle; basta dare un’occhiata al settore immobiliare, in crescita costante da più di un anno, e al livello dei consumi, che non sembrano essere stati toccati dall’accordo sul Fiscal cliff. Il livello di ricchezza del consumatore americano è in pratica tornato a quello pre-crisi”.

Stesso discorso vale la Cina. “Non crediamo assolutamente al pericolo di bolla immobiliare cinese, la verità è che il boom dei prezzi è il risultato della migrazione dalle campagne verso le città, che provoca in media la nascita di un nuovo centro abitato di 700 mila abitanti ogni mese”, conclude Rollin.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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