Il mattone cinese scricchiola

L’ammontare dei crediti è pari al 190% del Pil e gli operatori lanciano l’allarme: possibile una nuova crisi subprime come quella del 2007 negli Usa.

Valerio Baselli 11/02/2013 | 14:18
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La Cina è ormai la seconda economia del mondo. Per questo la sostenibilità del suo modello economico ha acquistato una sempre maggiore importanza. Sostenibilità che, purtroppo, lascerebbe alcuni dubbi. Secondo lo studio Feeding the Dragon: Why China’s Credit System Looks Vulnerable, pubblicato dalla società di gestione americana GMO, infatti, il pericolo di una bolla creditizia e immobiliare in Cina sarebbe reale.

Una montagna di debiti
Secondo il report, l’ammontare del debito presente nel sistema economico cinese continua a crescere a dismisura toccando livelli record, con il rischio di provocare danni evidenti. Impressionanti i numeri: il controvalore totale dei debiti contratti dalle 3.895 compagnie non finanziarie  cinesi oggetto di indagine ha toccato ormai quota 1.700 miliardi di dollari, contro i circa 600 miliardi di fine 2007. Come a dire che l’esposizione complessiva delle imprese è sostanzialmente triplicata nello spazio di cinque anni.

A spingere il rischio di una bolla creditizia ci sono gli effetti delle politiche espansive del governo di Pechino. Nel 2012, infatti, le banche cinesi hanno accordato nuovi prestiti per 1.300 miliardi di dollari con una crescita, secondo i dati diffusi dall’istituto centrale cinese, pari al 10% rispetto all’anno precedente. La conseguenza, come facile immaginare, è tutta nel peso crescente del credito. Secondo l’agenzia di rating Fitch, alla fine del 2008, l’ammontare del credito complessivo presente nell’intero sistema valeva il 124% del Pil. Oggi, invece, il rapporto è salito a quota 190%.

Inoltre, secondo gli analisti GMO, tra i principali motivi di ansia c’è la presenza significativa di una pluralità di credito sottoposto a scarso controllo: prestiti di società private, trust, microcredito, attività fuori bilancio e altro ancora. Insomma, una massa di crediti in continua crescita. Dieci anni fa, si legge nello studio, le banche compensavano da sole il 92% dei prestiti. L’anno scorso la loro partecipazione è scesa al 52% mentre nell’ultimo trimestre del 2012 l’insieme dei crediti non bancari ha raggiunto quota 60% del totale dei nuovi prestiti.

Verso una crisi subprime cinese?
E qui, come spesso accade, entra in gioco il settore immobiliare. Una delle principali preoccupazioni, infatti, deriva dall’intreccio tra debiti e fortune del settore immobiliare, i cui asset fungono molto spesso da collaterali, ovvero da garanzie, per i prestiti stessi. Sono soprattutto queste garanzie ad alimentare il mercato dei prestiti contratti dai governi locali con tutti i rischi del caso. Insomma, se il mercato immobiliare vira al ribasso, i governi locali andranno incontro a una potenziale contrazione della liquidità.

Ma non finisce qui. Come sempre, le banche giocano un ruolo essenziale, attraverso la costruzione e la vendite di prodotti finanziari strutturati, vale a dire obbligazioni acquistate nel settore privato e successivamente impacchettate in prodotti destinati alla clientela. In pratica, come fanno notare gli analisti GMO, nient’altro che la versione cinese dei tristemente famosi subprime mortgage-backed securities, i titoli tossici dell’immobiliare americano che hanno portato al fallimento Lehman Brothers e hanno innescato la crisi finanziaria nel 2007.

“Molte evidenze empiriche dimostrano che è più probabile che la crescita repentina del credito porti ad una crisi finanziaria se al contempo si manifesta anche una bolla del settore immobiliare”, commenta Luigi Antonaci, reponsabile azionario emergente di Eurizon Capital SA. “Sebbene sia difficile sostenere la tesi di una bolla immobiliare cinese attraverso l'utilizzo di indicatori quantitativi, è indubbio che alcune osservazioni alimentino i timori. I dati ufficiali mostrano come il valore di costruzioni immobiliari non ancora terminate rappresenti il 20% del Pil cinese”.

“Tuttavia”, prosegue il gestore, “l’esposizione delle banche al settore immobiliare è significativamente superiore rispetto a quella suggerita dai dati ufficiali (secondo i quali sarebbe di poco sopra il 20% del totale dei prestiti concessi) dal momento che bisogna tener conto anche dei prestiti forniti dalle banche ai cosidetti Lgfv (Local Government Funding Vehicles, strutture ad hoc costruite dai Governi locali per finanziare i propri investimenti infrastrutturali). A partire dagli ultimi mesi del 2011, la fragilità finanziaria del sistema è emersa con la crisi di alcune società di costruzione in città importanti della Cina; emblematico è l'esempio della città fantasma di Ordon, in Inner Mongolia, dove il prezzo degli immobili è collassato, secondo alcune statistiche, dell'85% nell'autunno del 2011”.

Serve un nuovo modello
L’economia cinese sta vivendo una fase di transizione verso livelli di “nuova normalità” che saranno caratterizzati da tassi di crescita più contenuti e tassi di inflazione più elevati, sostiene Antonaci. La sostenibilità di medio/lungo termine, tuttavia, si raggiunge con il miglioramento graduale e costante della qualità della crescita. “È auspicabile, pertanto, che le autorità di Pechino si concentrino sull'implementazione di riforme strutturali che vadano in questa direzione. L’attuale modello di crescita economica, guidato da investimenti ed esportazioni e alimentato da una repentina crescita del credito, potrebbe non essere più sostenibile”.

“Le autorità potrebbero assumere un atteggiamento di maggiore prudenza nella gestione della politica monetaria per evitare sorprese negative dal lato dell'inflazione. In particolare, sarebbe auspicabile da parte della Banca centrale della repubblica, la liberalizzazione dei tassi di interesse, che consentirebbe di concedere credito a società efficienti e non solo alle Soe (State-Owned Enterprises, imprese pubbliche) la cui inefficienza produttiva potrebbe essere la prima causa dell'insostenibilità dell'attuale crescita del credito”.

Moderato ottimismo
Secondo Antonaci, i recenti dati macro-economici confermano un trend di stabilizzazione che allontana, almeno nel breve periodo,  i rischi di “hard landing”  per l’economia cinese. Inoltre, l’impegno dimostrato dalla politica  per l'implementazione di riforme strutturali alimenta, peraltro, un cauto ottimismo tra gli investitori. “Se l’economia globale confermasse un processo di normalizzazione rispetto alla volatilità economica e finanziaria degli ultimi anni consentendo una generale riduzione dell'avversione al rischio, il mercato azionario cinese sarebbe tra quelli, che più di altri, potrebbe trarne beneficio”.

È chiaro, conclude il gestore, che le sfide di medio-lungo termine vadano costantemente monitorate in quanto eventuali passi indietro nella loro implementazione potrebbero causare correzioni, anche significative, per gli indici azionari del paese.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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