Usa, il Toro non ha più fiato?

Alcuni segnali indicano che lo stato di forma dell’economia americana non è più quello di una volta. Gli occhi restano puntati sulla Fed: il rialzo dei tassi potrebbe comprimere gli utili aziendali. Se poi il credito scarseggerà, il ciclo soffrirà.

Marco Caprotti 19/12/2018 | 09:59
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Frenata o recessione in vista? È la domanda che si stanno facendo in queste settimane gli operatori quando parlano degli Usa. Quello che sembra certo è che la prima economia del mondo non pare più in grado di tenere il ritmo mostrato negli ultimi anni. Le considerazioni alla base di questo ragionamento sono diverse. La prima è di tipo storico. Questo ciclo economico positivo è il secondo più duraturo dell’ultimo secolo: entro metà 2019 raggiungerà il primato dei 120 mesi messo a segno da quello vissuto nel 1991-2001. Non sono più così tanti quelli disposti a scommettere sul fatto che possa durare.

I numeri dicono che nel terzo trimestre è stata registrata una crescita del 3,5% del Pil (annualizzato), di cui il 2,2% derivante dalle scorte. Diversi analisti fanno notare che, proprio le scorte accumulate nel trimestre appena chiuso, diventeranno un freno per nuovi ordinativi futuri e un ulteriore ostacolo per una crescita che già ora si sta indebolendo. Gli ottimisti dicono che i leading indicator degli Usa rimangono solidi: in particolare, l’Ism è a quota 60 e, in generale, gli Usa sono in un contesto di piena occupazione. I pessimisti notano che in futuro, a causa dei rialzi dei tassi da parte della Federal Reserve gli utili aziendali si potrebbero comprimere.

Ci sono poi le valutazioni. L’indice Morningstar US market (in dollari) da inizio anno ha perso il 4,16%. Troppo poco, secondo alcuni, per riportare le valutazioni a livelli più accettabili dopo il +20% fatto segnare nel 2017 (quando già si parlava di sopravvalutazione dell’equity Usa).

Indice Morningstar US
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Dati in dollari aggiornati al 17 dicembre 2018
Fonte: Morningstar Direct

Occhio al Treasury
Un altro segnale che le cose potrebbero cambiare (ed è quello che sta facendo preoccupare gli operatori in questi giorni), arriva dalla curva dei tassi del Treasury che si è appiattita.

La curva dei rendimenti Tbond a lungo e breve termine
curva

Fonte: Federal Reserve

Quando la curva dei rendimenti si appiattisce lo spread fra i bond a breve termine e quelli a lungo si restringe (di solito la comparazione viene fatta fra la carta decennale e quella due anni). A inizio anno lo spread era di 0,54. I primi giorni di dicembre era a 0,11. “Molti analisti interpretano l’appiattimento della curva dei rendimenti come un segnale che stia arrivando l’inverno per il mercato Toro”, spiega Karen Wallace, analista di Morningstar. “Sarebbe più corretto dire che, l’appiattimento della curva derivi dall’atteggiamento degli investitori che sono convinti di una recessione. In ogni caso il risultato è lo stesso: un appiattimento della curva può colpire i profitti di chi presta denaro e diminunire la loro voglia di aprire linee di credito”. Quando le curve dei bond a lungo termine e di quelli a breve termine si avvicinano troppo i mercati di solito si aspettano una crescita economica più lenta e che le banche facciano prestiti a condizioni meno vantaggiose. “Questo, a sua volta, rallenta il ciclo economico”, dice Wallace.

Il tutto peraltro in una situazione in cui la Federal Reserve sta aumentando il costo del denaro. I fed fund rate hanno iniziato l’anno in una forchetta compresa fra l’1,25% e l’1,50%. Da gennaio la Fed ha alzato i tassi tre volte: a marzo (1,50%-1,75%), a giugno (1,75%-2%) e a settembre (2%-2,25%). L’atteggiamento dei vertici della Banca centrale Usa non ha aiutato a fare chiarezza. Il governatore Jerome Powell, nel corso dell’ultimo speech al Club degli economisti a New York a fine novembre, ha precisato la precedente posizione trasmessa erroneamente al mercato, secondo cui la Fed avrebbe aumentato i tassi, al consueto ritmo graduale di 25pb a trimestre, fino a un livello (il neutral rate) ancora lontano e forse anche oltre. Powell ha precisato che poiché non si conosce bene il tasso di equilibrio (che è nel range tra 2,5% e 3,5%), ora che si sta per entrare nell’intervallo che lo contiene, è opportuno rallentare il passo. Si preannuncia dunque una pausa nel 2019? C’è poi l’inflazione che, se non mantiene un determinato ritmo, indica che l’economia non sta crescendo. Gli ultimi dati dicono che si è attestata all’1,6%, contro il 2% circa di inzio anno.

A questo quadro vanno unite tutte le incognite legate allo scontro sui dazi fra Usa e Cina (leggi qui e qui due approfondimenti).

Tecnologia e difensivi
Come si muoveranno gli investitori in questo quadro? Le valutazioni potrebbero essere un punto di partenza importante. “I tecnologici, nell’ultima ondata di vendite, sono stati quelli colpiti più duramente, anche a causa delle valutazioni stellari che avevano raggiunto in questi anni”, spiega Russel Kinnel, direttore della manager research di Morningstar.  

Il sell off sul settore sembra avergli fatto tornare un po’ di fascino. “I titoli tecnologici Usa hanno pagato un eccesso di aspettative, ma ora siamo a valutazioni corrette e questo fa pensare che il 2019 non sarà negativo per il comparto”, dice Christian Schmitt, co-lead portfolio manager del fondo Ethna-Dynamish.

Sulla stessa lunghezza d’onda Jonathan T. Curtis, Portfolio Manager e Research Analyst di Franklin Equity Group. “Nel complesso, rimaniamo positivi sul settore IT”, spiega. “In primo luogo, la spesa IT delle imprese è già piuttosto robusta. Secondo noi questo proseguirà almeno fino a metà 2019, che sarà il primo intero anno di pianificazione della spesa che comprende un’economia in crescita e i recenti sgravi fiscali alle imprese Usa”.

Sempre guardando le valutazioni, un altro segmento che è stato colpito duro è quello dell’energy. “Dalla sua parte ha il fatto di essere difensivo”, dice Kinnel di Morningstar. “In generale, l’idea che abbiamo visto funzionare di più in passato è quella di avere in portafoglio nomi difensivi di alta qualità. Certo, crescono a velocità ridotta rispetto ad altri player, ma sono in grado di resistere bene quando le cose vanno male”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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