Busta arancione, il tempo stringe

7,2 milioni di pensionati vivono con meno di mille euro al mese. Ma solo il 27% dei lavoratori ha una forma complementare. Il governo deve fare in fretta.

Sara Silano 22/11/2012 | 12:14
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Oltre metà dei pensionati percepisce meno di mille euro al mese. In numeri assoluti si tratta di 7,2 milioni di italiani. I dati emergono dal bilancio sociale dell’Inps, l’istituto nazionale di previdenza, dal quale risulta anche che il 17% ha un reddito sotto i 500 euro e il 35% tra i 500 e i mille euro. Le statistiche, questa volta della Covip (Commissione di vigilanza sul settore), dicono, invece, che la previdenza complementare cresce a ritmo lento (+4% da gennaio a settembre 2012).

Busta con lettera di accompagnamento
Riuscirà la Busta arancione a riportare l’attenzione sull’urgenza di integrare l’assegno sociale? La “Busta” è una comunicazione ai lavoratori che contiene le stime relative alla pensione pubblica futura, in uso da quindici anni in Svezia, che dovrebbe arrivare in Italia a gennaio. Con l’occasione, l’Inps dovrebbe inviare anche una lettera di sensibilizzazione sulla previdenza complementare. Gli operatori ci contano molto, dato che gli eventi normativi hanno sempre avuto un impatto positivo sulle adesioni. La tempistica non è un dettaglio: con le elezioni alle porte, è importante che l’iniziativa parta con l’attuale governo.

Non c’è tempo da perdere neppure per i lavoratori. Oggi solo il 27% ha una forma integrativa; nonostante il tasso di sostituzione tra l’ultimo stipendio e l’assegno pensionistico sia in discesa. I continui cambiamenti legislativi non hanno mai rappresentato un incentivo a sottoscrivere la previdenza complementare, ma negli ultimi anni si sono aggiunti altri problemi, primo fra tutti la perdita del posto di lavoro, come emerge da una recente ricerca realizzata dalla Fondazione Censis per la Covip.

I grattacapi dei negoziali
Il calo dell’occupazione è un fattore critico anche per i fondi di categoria (istituiti sulla base di un accordo sindacale tra le rappresentanze dei datori di lavoro e dei lavoratori), i quali si trovano nella condizione di dover razionalizzare la gamma, con grandi difficoltà che derivano dal grado di sindacalizzazione di questi istituti.

Tra i fondi aperti e i Pip (Piani individuali pensionistici), la selezione è già avvenuta ad opera delle forze di mercato, con un calo da 98 a 54 prodotti tra il 2007 e il 2012. Come spiega Nadia Vavassori, responsabile della business unit SecondaPensione di Amundi sgr, la soglia di efficienza per un comparto è dieci milioni di euro, al di sotto è difficile fare una gestione vera e propria del patrimonio, se non ricorrendo ai fondi comuni. In tal caso, però, le commissioni devone essere interamente retrocesse alla forma previdenziale per cui i gestori tendono ad usare prodotti della casa, facendo venire meno un’importante fonte di diversificazione. 

Lo sportello fa la differenza
I canali distributivi restano un nodo critico per i fondi pensione, tanto che le società di gestione si stanno organizzando per il collocamento online (la prima è stata Amundi). Una prova di quanto sia importante questo aspetto viene dal successo dei Pip, in gran parte imputabile a Poste vita, che può contare su 14 mila uffici postali dislocati in modo capillare in tutt’Italia.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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