L'Asia mette in campo i pesi massimi

La Cina può assorbire le esportazioni della regione. A Singapore cresce la produzione industriale e il Pil fa da volano all'area.

Marco Caprotti 26/05/2010 | 14:11
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L’Asia si aggrappa ai suoi campioni per non farsi risucchiare dal gorgo scatenato dalla crisi greca del debito. Anche la regione, infatti, è preoccupata per quello che sta accadendo nel Vecchio continente che rappresenta sempre uno dei suoi principali mercati di sbocco. L’indice Msci dell’area asiatica (Giappone escluso) nell’ultimo mese (fino al 26 maggio e calcolato in euro) ha perso più del 4%.

E a venire in soccorso della regione, dicono gli operatori saranno soprattutto Cina e Singapore che al momento rappresentano le economie asiatiche più vitali. Pechino ha già annunciato che non cercherà di frenare eccessivamente la corsa della propria congiuntura. La notizia è buona per due motivi. Primo: ci sarà più richiesta di materie prime con una conseguente ripresa dei mercati mondiali. Secondo: Il Paese del Drago può diventare il punto di arrivo per le merci prodotte dagli altri Paesi della zona, compensando così le mancate vendite in Europa e Stati Uniti. “Le importazioni dall’Asia ad aprile sono cresciute del 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso”, spiega un report firmato da Dean Su, analista di Morningstar. “Contemporaneamente, nello stesso periodo, sono cresciute del 18,5% le spese delle famiglie. I cinesi ormai hanno molti soldi in tasca e sembrano essere decisamente ottimisti per quanto riguarda le prospettive di miglioramento della congiuntura”.

L’unico rischio vero sembra essere l’inflazione. I prezzi al consumo il mese scorso sono saliti del 2,4% dopo il +2,8% registrato a marzo. Colpa, soprattutto del caro-cibo e delle difficili condizioni meteo che hanno ridotto la produzione domestica di alimentari. “E’ possibile che nei prossimi mesi si arrivi a un livello di inflazione del 3% che la Banca popolare cinese ha posto come tetto massimo prima di intervenire in maniera massiccia”.

Singapore, intanto, sta dimostrando di essere in ottima forma. Secondo i dati dell’Ufficio per lo sviluppo economico della città-stato, la produzione industriale (che contribuisce ai 182 miliardi di dollari di Pil nazionale per circa un quarto del totale), ad aprile è aumentata del 51% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, dopo il +46,6% (rivisto) di marzo. Si tratta del quinto mese consecutivo in salita e di un balzo più che doppio se confrontato con le attese degli economisti. Le esportazioni, nel frattempo, sono aumentate di quasi il 30%. L’isola ha anche attuato una stretta monetaria per evitare che una crescita eccessiva dia il via a fenomeni inflattivi. Nel primo trimestre il Pil è salito a un tasso (annualizzato) del 38,6% e, secondo il ministero del commercio, nell’intero 2010 dovrebbe registrare una crescita compresa fra il 7% e il 9%.

Dal punto di vista operativo, gli analisti consigliano di puntare sulle società asiatiche che pagano alti dividendi. “Particolarmente interessanti sono i finanziari che rappresentano circa un terzo delle cedole staccate nella regione”, spiega uno studio di Matthews Asia. “Seguono gli industriali e gli energetici. L’importante è muoversi su diversi listini dell’area. Una strategia di questo tipo permette di avere una buona diversificazione, dal punto di vista sia settoriale sia geografico”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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