Le commodity puntano su dollaro e Cina

L'andamento delle materie prime è condizionato dai movimenti della divisa Usa. Pechino aumenta la richiesta di oro.

Marco Caprotti 14/04/2010 | 16:11
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Mentre cercano informazioni precise sulla ripresa dei mercati, gli investitori in materie prime preferiscono affidarsi ai movimenti del dollaro. A ogni mossa verso il basso del biglietto verde fanno partire gli ordini acquisto. Quando, invece, la divisa Usa sale preferiscono vendere e buttarsi su altri asset. In mezzo a tutti questi movimenti, l’indice S&P del comparto è riuscito a guadagnare il 4,7% portando a +7% la performance da inizio anno.

“Ogni materiale che forma il mondo delle commodity si muove secondo logiche proprie del mercato di riferimento”, spiega una nota di Morningstar. “In generale, però, adesso stanno seguendo gli alti e bassi del dollaro, visto che la tempistica sull’uscita definitiva dalla crisi è ancora incerta”. Sull’altalena è salito soprattutto il petrolio: il greggio, dopo aver toccato il massimo degli ultimi 18 mesi a 87,09 dollari al barile, ha inanellato sei giorni consecutivi di ribassi, riprendendosi un po’ solo verso il finale per fermarsi a 85 dollari al barile. Un andamento simile lo ha seguito il brent che è arrivato a superare gli 84 dollari (per i contratti con scadenza maggio).

A condizionare la performance del prezioso liquido sono state anche le notizie arrivate dal Dipartimento per l’energia, secondo cui le scorte Usa, nella settimana chiusa il 9 aprile, sono risultate in calo di 2,2 milioni di barili. Gli analisti si attendevano una crescita di 1,3 milioni di barili. Nelle prossime settimane molto dipenderà dai risultati che verranno fuori dalla stagione delle trimestrali americane. “Gli investitori sono interessati a questi numeri perché daranno una visione più precisa sullo stato di salute dell’economia”, continua la nota.

Un’altra osservata speciale sarà la Cina. “Il Paese asiatico si sta confermando come il maggior importatore di petrolio dietro agli Stati Uniti”, spiega una nota di CMC Markets. “Le politiche che utilizzerà per raffreddare l’economia rischiano quindi di avere effetti sui corsi del barile a livello mondiale”. Il Pil cinese nel primo trimestre dell’anno ha registrato un’espansione dell’11,7%.

Dalle mosse di Pechino dipenderà anche il futuro dell’oro che, in questi giorni, viene trattato a poco più di 1.155 dollari l’oncia. Quando la Cina allargherà la banda di movimento della sua moneta nei confronti del dollaro – una decisione che secondo gli analisti dovrebbe essere presa entro la fine di settembre – potrebbe aumentare l’interesse nei confronti del metallo giallo.

Secondo un report del World Gold Council (WGC, un’associazione che riunisce i maggiori estrattori mondiali) la domanda cinese dovrebbe raddoppiare nel corso dei prossimi 10 anni. La richiesta da parte degli investitori e dei gioiellieri del Paese asiatico (che secondo il WCG pesa per l’80% della domanda mondiale) nel 2009 ha toccato le 423 tonnellate, mentre altre 314 tonnellate sono state estratte dalle miniere domestiche. Dal 2005 la domanda dei cinesi per il metallo giallo è cresciuta a una media del 13% annuo.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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