A spingere la domanda di materie prime sono state soprattutto la debolezza del dollaro e la ricerca di asset che difendano dall’inflazione. Il biglietto verde, nelle ultime settimane è sceso contro l’euro (arrivando a superare un cambio di 1,50). Questo ha scatenato la caccia a strumenti denominati in valuta americana e, fra i principali, ci sono proprio le commodity. Le prospettive di crescita congiunturale elaborate da molte banche centrali, inoltre, hanno fatto tornare la paura di uno spettro che non si vedeva da lungo
tempo: l’inflazione. Da questo punto di vista le materie prime, storicamente, rappresentano la copertura ideale.
Ma anche i metalli preziosi sono stati ben scambiati. Soprattutto nel momento in cui le Borse sono sembrate più volatili e indecise sulla direzione da prendere. In questo senso ha giocato a favore dei minerali la loro caratteristica di bene rifugio su cui lanciarsi nei momenti di dubbio. A questo va aggiunta la richiesta in aumento da parte dei Paesi in via di sviluppo che ha aiutato l’oro a superare la soglia psicologica dei 1.000 dollari l’oncia.
Le prospettive dal punto di vista dei minerali preziosi sono ancora buone. Secondo la società mineraria Hong Kong Resources Holding la domanda cinese di prodotti in oro e argento nei primi nove mesi dell’anno è salita del 16%. La corsa dovrebbe continuare: secondo il World Gold Council, infatti, il Paese del drago diventerà il primo consumatore di metallo giallo scalzando l’India.
Sul comparto delle materie prime sono positivi anche gli analisti di BlackRock. “Il miglioramento dei dati economici, specialmente nei mercati emergenti, porta un diffuso convincimento che la domanda di commodity crescerà”, spiega una nota della casa americana. “C’è poi da considerare l’aumentato appetito per il rischio da parte degli investitori, che li sta spingendo verso questi asset”.
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