Passaporto europeo, arriva il parere del Cesr

Il comitato delle Consob europee chiarisce alcuni punti-chiave del progetto di riforma.

Sara Silano 05/11/2008 | 14:43
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Il passaporto europeo fa un altro passo in avanti. Il Cesr, il comitato delle autorità di controllo europee, ha pubblicato il parere sul tema, rispondendo alla richiesta di approfondimento avanzata dalla Commissione europea nel luglio scorso. Il documento tocca alcuni punti-chiave della proposta di riforma normativa, in particolare la “definizione di sede”, in modo che sia chiaro il Paese d’origine della società di gestione, del fondo e della banca depositaria; la normativa applicabile e la responsabilità di vigilanza in caso di prestazione del servizio tramite succursale; le procedure di autorizzazione dei fondi la cui società di gestione abbia sede in un altro Stato membro; la vigilanza da parte degli amministratori dei fondi; gli accordi in caso di violazione delle norme che disciplinan

o la gestione dei fondi. Il parere considera le possibili forme di cooperazione tra le Consob e le loro attività nei confronti di soggetti con sede in un altro Stato membro.

La posizione del Cesr è importante perché prima di inserire il passaporto nel pacchetto di riforma della direttiva Ucits (Undertakings for collective investment in transferable securities), Bruxelles vuole essere certa che l’attuale elevato livello di protezione degli investitori, assicurato dalla normativa attuale sia mantenuto anche in un mercato senza barriere.

Come cambia l’industria
Se la proposta del passaporto europeo entrasse a far parte del pacchetto legislativo di revisione della Ucits, nel giro di un quinquennio il volto dell’industria dei fondi europea potrebbe cambiare radicalmente. Infatti, esso permetterà alle società di gestione di svolgere attività transfrontaliere, senza la necessità di duplicare le strutture e quindi realizzando ampie economie di scala rispetto ad oggi. Si stima un risparmio di 500 milioni di euro per un settore che, come ha ricordato il commissario per il mercato interno Charlie McCreevy, vale oltre 6.400 miliardi, pari a metà del Pil dell’Ue.

L’introduzione del passaporto europeo non trova tutti gli attori di mercato concordi. In particolare, il Lussemburgo, fulcro dell’industria europea dei fondi (ha una quota di mercato del 24,4%), si oppone considerandolo prematuro e potenzialmente capace di minare la fiducia degli investitori in questi prodotti. Dublino, l’altro grande centro in cui hanno sede molti organismi di investimento collettivo del risparmio, è stato inizialmente freddo, ma recentemente si è allineato alla posizione dell’Efama, che rappresenta tutte le associazioni di categoria europee.

Quest’ultima ha fornito indicazioni tecniche precise al Cesr, sottolineando due aspetti cruciali. Il primo è la distinzione tra le competenze di vigilanza legate ai fondi e quelle relative alle società di gestione. In sostanza se il fondo è domiciliato in un Paese diverso da quello della società di gestione, le verrà applicata la legge e sarà soggetto al controllo delle autorità di quel Paese. Alle autorità in cui ha sede la management company spetterà l’autorizzazione della stessa. Il secondo aspetto è relativo ai meccanismi di cooperazione tra le authorities, che dovrebbero essere basati su accordi bilaterali e multilaterali. Tra le associazioni che hanno inviato al Cesr il loro parere c’è anche Assogestioni, che in una lettera dell’8 agosto, ha confermato l’opinione già espressa in passato sull’importanza del passaporto europeo per la creazione di un singolo mercato dei fondi competitivo ed efficiente.

Meno fondi e più trasparenza
Il passaporto europeo è solo uno degli aspetti della riforma, che è stato presentata lo scorso 16 luglio e potrebbe essere votata prima dell’estate 2009. Altri temi sono le fusioni tra i fondi, il cosiddetto “master-feeder” e le informazioni ai clienti.

Oggi il mercato è molto frammentato e conta circa 36 mila fondi Ucits contro gli 8 mila degli Stati Uniti. Il numero potrebbe diminuire grazie alla scomparsa delle duplicazioni di gamma, a cui sono ricorse molte società per poter vendere i loro prodotti in Paesi diversi da quelli di origine, mancando un quadro normativo unico. Inoltre, la quarta versione della Ucits permette agli asset manager di creare strutture in cui un fondo che ha sede in un Paese (feeder) può investire in un altro dove ha luogo la reale gestione (master).

La proposta della Commissione cerca anche di migliorare la protezione degli investitori assicurando una chiara e comprensibile informazione quando si investe in Ucits. Infatti, prevede l’introduzione di un documento di tre pagine, il cosiddetto KID (Key information document), che sostituirà il prospetto semplificato. Esso conterrà tutti gli elementi essenziali che il risparmiatore deve prendere in considerazione prima dell’acquisto, scritti con un linguaggio semplice e che consenta il confronto tra prodotti differenti. Sarà uguale per tutti gli Stati membri, quindi faciliterà la distribuzione cross border.

Un po’ di storia
La Ucits IV è la quarta versione della direttiva sugli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (Oicvm) originariamente introdotta nel 1985 (n.85/611/Cee del 20 dicembre 1985), con l'obiettivo di armonizzare le diverse legislazioni europee in materia d i fondi comuni di investimento e Sicav. Il primo progetto di revisione, noto come Ucits II non è mai andato in porto, mentre il successivo, realizzato attraverso le direttive 107 e 108 del 2001 ha introdotto significative novità sia a livello di prodotti, ampliando la gamma di strumenti in cui possono investire (oggi si parla di prodotti conformi alla Ucits III) sia di società di gestione. Ma è solo nel Libro Bianco del 2006 che la Commissione ha effettivamente esaminato la possibilità di inserire il passaporto europeo per le società come parte del pacchetto di emendamenti della Ucits, noto come Ucits IV, per facilitare la commercializzazione transfrontaliera dei fondi.

In gioco c’è la competitività dei fondi Ucits sul mercato globale. Attualmente, infatti, il 40% degli Ucits che hanno sede in Europa sono venduti nei Paesi in via di sviluppo, principalmente Asia, area del Golfo e America Latina. Il Vecchio continente è il secondo al mondo per patrimonio gestito, con 13,5 trilioni di euro, circa il 33% del totale.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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