Al Giappone non piace questa inflazione

Dopo anni di deflazione il Paese sta registrando un aumento dei prezzi che però non porta equilibrio economico.

Marco Caprotti 22/07/2008 | 14:39
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La strada della ripresa per il mercato del Giappone è ancora ripida. L’indice Msci del Sol levante, nell’ultimo mese (fino al 22 luglio e calcolato in euro) ha perso quasi il 9%, mentre da inizio anno si è lasciato dietro circa il 19%.

Gli sforzi che il Paese sta facendo per uscire dalla crisi economica che ormai l’attanaglia da due decenni sono stati complicati dall’arrivo e dal perdurare della tempesta scatenata dai mutui americani subprime (quelli di scarsa qualità).

Proprio la situazione degli Usa, alle prese con un rallentamento dell’economia che rischia spesso di sconfinare nella recessione e il calo della domanda di beni

stranieri, alla lunga potrebbe pesare sulle aziende dell’export. Non aiuta la forza dello yen nei confronti della divisa Usa. Discorsi analoghi si possono fare per quanto riguarda l’approdo delle merci sul mercato europeo. L’ancora di salvezza, per il momento, è rappresentata dalla domanda da parte degli altri Paesi asiatici, anche se gli operatori si stanno ormai chiedendo quanto questa situazione potrà tenere.

L’unico comparto giapponese che al momento sembra salvarsi è quello delle materie prime. I prezzi sempre più alti delle commodity stanno spingendo anche le quotazioni dei titoli delle aziende legate ai diversi sottosettori. L’unica grana, semmai, è la forte volatilità. A livello macro, intanto, gli operatori seguono attentamente la dinamica dell’inflazione. Il 15 luglio la Bank of Japan ha comunicato le stime sulla corsa dei prezzi per l’anno fiscale che si chiuderà a marzo 2009: +1,8% contro il +1,1% previsto tre mesi fa.

In apparenza potrebbe sembrare una buona notizia, visto che il Paese nel decennio 1997-2007 è stato in continua deflazione con un calo dei prezzi dello 0,2% l’anno (la deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi. Le imprese, non riuscendo a vendere a determinati prezzi parte dei beni e servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori. Il risultato è un calo dei ricavi con ricadute negative sull’occupazione e sull’economia in generale).

Il problema, secondo gli osservatori è che l’inflazione crescente deriva essenzialmente da cibo ed energia. In pratica nasce dalla crescita del costo dei prodotti che i giapponesi importano e non dall’aumento della domanda domestica. In questo modo, visto che negli ultimi quattro anni le esportazioni sono peggiorate, si crea uno squilibrio nella bilancia commerciale. Dal punto di vista operativo gli analisti di Morningstar consigliano cautela, anche se, aggiungono, i titoli giapponesi, per chi investe in Asia, sono utili ad aumentare la diversificazione.

Sulla stessa linea di prudenza si collocano i colleghi di Union Investment. “Lo scenario economico si presenta soddisfacente, anche se il Giappone non passerà indenne dalle traversie che affliggono gli Usa”, scrivono in una nota.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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