Europa e Asia frenano gli emergenti

Le Borse dei paesi in via di sviluppo sono negative da inizio anno, ma sovraperformano quelle globali nel primo semestre. I mercati asiatici e i paesi europei fuori dall’area euro pesano negativamente sul rendimento della regione, mentre Medio Oriente e America latina continuano a essere sostenuti da petrolio e materie prime.

Francesco Lavecchia 07/07/2022 | 12:48
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Gli emergenti faticano nel 2022, ma sovraperformano comunque i mercati globali. Da inizio anno la regione ha ceduto circa il 10% (in euro al 30 giugno 2022), contro il -13,4% registrato dall’indice Morningstar Global Markets, invertendo la tendenza positiva degli ultimi tre anni.

Sul rendimento della regione ha pesato negativamente la cattiva intonazione dell’Europa Emergente (-75%) e dei mercati asiatici, mentre America latina e Medio Oriente, che insieme pesano per circa il 15% della capitalizzazione di Borsa dell’indice, sono le aree che hanno performato meglio.

I listini emergenti del Vecchio continente hanno sofferto a causa della cattiva intonazione dei comparti finanza, salute e telecomunicazioni, che pesano complessivamente per circa un quarto della market cap dell’indice e che nel periodo in considerazione hanno perso rispettivamente il 22,6%, il 24,2% e il 7% (in euro). Sulla cattiva performance dell’Asia emergente hanno inciso le perdite accumulate sui mercati azionari della Corea del Sud e di Taiwan, che insieme rappresentano quasi il 30% della capitalizzazione di mercato dell’indice Morningstar EM e che nel periodo preso in considerazione hanno ceduto rispettivamente il 22% e il 17% (in euro).

La Cina preoccupa
Discorso a parte va fatto per la Cina, che da sola pesa per circa il 30% sulla market cap del benchmark. Da inizio anno fino alla fine di maggio l’indice Morningstar China ha registrato un calo del 2,8%, quindi una performance relativa positiva se confrontata con la regione nel suo complesso, ma il paese asiatico continua a preoccupare in prospettiva anche per le ripercussioni che l’andamento della sua economia ha sul resto della regione e sulla congiuntura globale.

Il Partito comunista cinese non è ancora riuscito a raggiungere l’obiettivo “zero Covid”, ma continua a giurare fedeltà a questa strategia di gestione della pandemia e questo implica che nelle prossime settimane è lecito attendersi nuovi lockdown e restrizioni alla mobilità. Il governo e la banca centrale stanno giocando con un certo successo tutte le carte in loro possesso per sostenere la congiuntura, come dimostra la crescita del Pil nel terzo trimestre superiore alle attese, ma il problema è che il rallentamento dell’attività economica in Cina ha forti ripercussioni sulla supply chain di molte industrie strategiche a livello globale, come quella high-tech e quella dell’auto, e sulla domanda mondiale di materie prime, prime su tutte quella del petrolio.

Cosa aspettarsi dall'America latina?
Le notizie positive per gli emergenti arrivano dal Medio Oriente e dall’America latina. L’indice Morningstar Middle East & Africa ha guadagnato il 9,6% grazie alla spinta prodotta dai titoli del comparto finanziario e da quello consumer defensive, mentre a sostenere i listini del sud America sono stati i settori legati al prezzo delle commodity e quello bancario. Non stupisce, quindi, che i mercati che hanno maggiormente contribuito al risultato della regione siano stati quelli di Brasile, Cile e Colombia. Il petrolio, infatti, rappresenta il 70% delle esportazioni del paese carioca è il 57% di quelle colombiane. Il Cile, invece, è il secondo produttore mondiale di rame, commodity che pesa per il 55% dell’export complessivo.

Il quadro macroeconomico non è dei migliori per i paesi della regione e preoccupa anche quello politico. “Le nostre previsioni indicano una normalizzazione della crescita del Pil in Cile e Colombia. Il forte rimbalzo post-Covid delle due economie sta diminuendo, il sostegno fiscale si sta affievolendo, e l’accelerazione dell’inflazione e l’inasprimento della politica monetaria stanno iniziando a frenare l’attività economica. Per questo motivo le aspettative sono ora per una crescita dell’1,5% del Pil cileno nel 2022 (contro il +11,7% del 2021), mentre il progresso dell’economia colombiana dovrebbe passare dal +10,3% dello scorso anno al +6% di quest’anno”, dice Pablo Riveroll, Head of Latin American Equities di Schroders. La Banca centrale brasiliana, invece, ha alzato le stime della crescita del Prodotto interno lordo del paese carioca per il 2022 dal +0,7%, stimato lo scorso marzo, all’attuale +1,7%.

Ma a preoccupare gli investitori è anche l’outlook politico: “In Cile e in Colombia sono stati eletti di recente due presidenti, sostenuti da partiti di sinistra, che hanno promesso un forte incremento della spesa sociale finanziata da una maggiore pressione fiscale. I timori, in questo senso, sono legati sia alle ripercussioni che queste politiche potrebbero avere sulla crescita economica, che alla tenuta dei governi che non godono di ampie maggioranze in Parlamento”, aggiunge Riveroll. A questo si aggiungono le incertezze legate all’esito della prossima tornata elettorale in Brasile prevista per il prossimo 2 ottobre, con il candidato del Partito dei lavoratori, Luis Inacio Lula da Silva, in vantaggio nei sondaggi sul presidente uscente, Jair Bolsonaro.

 

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Francesco Lavecchia

Francesco Lavecchia  è Research Editor di Morningstar in Italia

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