La gestione attiva ha i giorni contati? È vero che sempre più investitori si stanno spostando verso strategie passive che hanno il doppio vantaggio di costare meno e di non essere influenzate dalle emozioni del gestore, facendo affidamento su algoritmi e analisi quantitative. Un fenomeno che Morningstar ha fotografato e analizzato in più occasioni (ad esempio leggi qui e qui). Ma dare per spacciato l’active management potrebbe essere prematuro. “Secondo me la gestione attiva non morirà mai”, dice Ben Johnson, responsabile della ricerca sugli Etf di Morningstar. “Ci saranno sempre investitori disposti a spendere un po’ di più per cercare un fondo che sia in grado di battere il mercato. E’ nella natura umana. Sono convinto, invece, che la gestione attiva di trasformerà. Anzi, ha già iniziato a farlo”.
A dimostrarlo ci sono due elementi: la crescita del numero di fondi attivi che mettono in portafoglio strumenti passivi e il maggior numero di strumenti che, nominalmente sono replicanti, ma utilizzano anche tecniche active. “Entrambi i fenomeni dimostrano che la gestione attiva è viva e che la distinzione fra attivo e passivo sta diventando sempre più sfumata”, dice Johnson.
Più passivo per l’attivo
Il processo decisionale di molti gestori attivi sta cambiando. Se prima la scelta poteva essere fra il titolo di Coca Cola o di Apple ora si trovano a decidere se metter in portafoglio le large cap Usa o le obbligazioni dei mercati emergenti denominate in dollari. “Questo tipo di decisioni vengono portate avanti sempre più spesso con l’utilizzo di Etf. A dettare la linea, come spesso accade nel mondo della finanza, sono gli Stati Uniti dove, dal 2006, il numero dei fondi che hanno almeno un Etf in portafoglio è raddoppiato. Il peso dei replicanti in questi portafogli, nel frattempo, è quadruplicato.
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