Mentre i mercati finanziari si interrogano sui tempi di un rialzo dei tassi di interesse Usa, sulla tenuta dell’area euro e sull’andamento della Borsa cinese, i mercati di frontiera continuano ad attirare l’interesse degli investitori. L’indice Msci dedicato ai paesi che non sono ancora considerati emerging, nell’ultimo mese (fino al 21 luglio e calcolato in euro), ha guadagnato quasi il 3%, portando a +6% la performance da inizio anno.
Andamenti di tutto rispetto, se si considera che il 40% del paniere è composto da società legate al settore del petrolio. “Il prezzo del greggio si è in pratica dimezzato da inizio anno. Questo mostra la flessibilità dei mercati di frontiera e la solidità dei fondamentali di crescita, orientati ai consumi interni”, spiega uno studio di Oliver Bell, gestore del fondo T. Rowe Price Frontier Markets Equity. Le popolazioni che fanno parte di questo segmento geografico, nella maggior parte dei casi sono giovani. Questo si traduce in ottime opportunità di guadagno per le aziende che sono capaci di cavalcare la crescita dei consumi.
“Alcuni di questi stati, tra l’altro, possono beneficiare della vicinanza con la Cina che sta cercando di ricostruire una vasta area commerciale sulla falsariga di quella che era la Via sella seta”, spiega Alec Lucas, analista azionario di Morningstar. “La mancanza di una vera concorrenza per la società della zona porta alla creazione di monopoli o oligopoli in diversi segmenti di mercato che, a loro volta, nei bilanci si trasformano in alti ritorni sul capitale investito”.
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