Biotech sotto assedio

Il mercato piace anche ai nomi storici del settore pharma che intendono invaderlo per recuperare terreno dopo l’avvento dei produttori di generici nel segmento dei medicinali tradizionali.

Marco Caprotti 21/07/2015 | 14:13
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Le grandi aziende del pharma hanno deciso di sparigliare le carte nella partita che, ormai, da anni le vede confrontarsi con i produttori di generici. Per farlo hanno deciso di usare le armi dei loro nemici, andando però a sfidare i produttori di medicinali biotech con prodotti definiti biosimilari (come vengono chiamati i generici in questo settore). L’interesse delle big pharma per questo segmento è spiegato dai numeri. Secondo la società di consulenza IMS Health, quello delle cure più innovative è un mercato che, a livello globale, oggi vale 200 miliardi di dollari (metà della spesa viene effettuata negli Stati Uniti). “Se guardiamo le terapie più importanti che vengono trattate con prodotti biotecnologici e considerano le date di scadenza di alcuni brevetti, vediamo che entro il 2017, almeno 50 miliardi di quella torta possono andare ai prodotti biosimilari. La cifra salirà a 70 miliardi nel 2019”. Spiega Karen Andersen, analista di Morningstar.

Una rivoluzione che dovrebbe andare anche a beneficio dei pazienti. Nel segmento dei trattamenti tradizionali, ad esempio, l’uso dei generici (negli Usa) ha permesso di risparmiare 1.500 miliardi negli ultimi 10 anni. Nel settore bio, a seconda delle stime, si potrebbero fare economie anche per cifre che vanno dai 25 ai 250 miliardi nel prossimo decennio. Attualmente, a livello globale, il mercato dei biosimilari vale circa 1 miliardo di dollari. “Ma il valore di mercato per i trattamenti innovativi di cui è scaduto il brevetto è di circa 12 miliardi”, spiega Andersen.

Un mercato in crescita
Il leader di mercato Sandoz (gruppo Novartis) nel 2014, per quanto riguarda il segmento dei biosimilari, ha registrato un fatturato di 514 milioni di dollari (grossomodo il valore che aveva questo mercato nel 2010). “Con la crescita nell’uso di questo tipo di medicinali che si sta vedendo negli Stati Uniti e con il ritmo di scadenza dei brevetti che vedremo in futuro, lo sviluppo del mercato è destinato ad accelerare con il passare del tempo”, dice l’analista di Morningstar. Secondo le elaborazioni di ISM il mercato dei biosimilari nel 2020 potrebbe valere dagli 11 ai 25 miliardi di dollari, a seconda del ritmo con cui il segmento riuscirà a crescere negli Usa e del successo che avrà la prossima ondata di farmaci più complessi. Per Pfizer il mercato fra cinque anni avrà un valore di 20 miliardi (per Morningstar quella cifra si raggiungerà nel 2024).

La sfida in Europa
A livello geografico, il mercato nel quale le aziende dovranno dimostrare di cosa sono capaci è quello europeo. Nel Vecchio continente, infatti, l’utilizzo dei biosimilari è estremamente eterogeneo. E’ vero che molti paesi incoraggiano l’uso di questo tipo di prodotti, ma le aziende si devono adeguare ai diversi sistemi sanitari in vigore nei singoli stati. Ad esempio: Germania, Francia, Svezia e Finlandia li distribuiscono principalmente attraverso le farmacie, mentre Inghilterra, Spagna, Portogallo, Danimarca e Grecia utilizzano il canale ospedaliero. Ci sono poi differenze legislative e culturali di cui tenere conto. I medici tedeschi, ad esempio, nella prescrizione di farmaci sono obbligati a rispettare delle quote destinate ai generici. Un sistema che viene utilizzato anche per i biosimilari. La situazione è diversa in Francia e in Italia, dove, per molti farmaci, la differenza di prezzo fra prodotti di marca e generici non è eccessiva.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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