L’outlook macroeconomico di Morningstar

Il secondo semestre dell’anno potrebbe vedere una lieve crescita mondiale, con un’inflazione in salita. Non mancano però i rischi di bolle speculative. Pubblichiamo una sintesi del report di Francisco Torralba, economista di MIM.

Francisco Torralba, Ph.D. 19/05/2015 | 10:02
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Punti chiave:

- Tassi d’interesse costantemente ai minimi negli ultimi sette anni hanno aumentato il rischio di possibili bolle speculative. Il problema riguarda soprattutto il mercato dei bond high yield, delle azioni americane e parti del mercato immobiliare.

- La stretta nella politica monetaria della Federal Reserve metterà sotto pressione i tassi d’interesse americani a lungo termine, appiattendo così la curva dei rendimenti. L’afflusso di capitali dall’Eurozona, dal Giappone e dalla Cina, tuttavia, sosterrà i prezzi degli attivi, compresi i bond.

- Una diminuzione della liquidità globale potrebbe aumentare le tensioni sui mercati emergenti. Le debolezze chiave sono il livello di indebitamento in dollari, le bolle domestiche e la crescita del credito interno. Brasile e Turchia sembrano particolarmente vulnerabili.

- Una possibile spirale deflazionistica è un rischio trascurabile. L’inflazione globale tornerà probabilmente su livelli più normali dopo giugno. Nei mercati emergenti i recenti depprezzamenti monetari faranno crescere l’inflazione, riducendo lo spazio per possibili manovre di politica monetaria.

- La fine del ciclo economico globale iniziato nel 2009 non sembra imminente. I rischi di inasprimento della politica monetaria degli Stati Uniti sono compensati dagli stimoli di Europa e Giappone. Nel corso dei prossimi sei mesi, piuttosto che una recessione, ci sono più probabilità di vedere una lieve crescita economica, con un’inflazione più alta e un accumulo di rischi finanziari e di credito.

 

Le dinamiche di crescita economica mondiale non sono cambiate granché nel primo trimestre dell’anno. Secondo i dati di Fulcrum Asset Management l’insieme formato da Eurozona, Stati Uniti, Regno Unito, Giappone e Cina è cresciuto a un tasso annualizzato del 3,6% in aprile; un po’ meno del 3,8% di gennaio.

L’attività economica è rallentata bruscamente negli Stati Uniti rispetto all’insostenibile ritmo del 4% visto lo scorso autunno. Il report relativo al mercato del lavoro in marzo, che ha sorpreso per i deludenti numeri su nuovi impieghi, si è aggiunto alla speculazione su una possibile nuova recessione, ma io non credo che un singolo dato debba avere così tanto peso.

Il balzo nella crescita giapponese registrato nel mese di febbraio si è spento subito a marzo e aprile, mesi in cui il Pil è rimasto sostanzialmente invariato, lasciando la stima di crescita annua più bassa (0,4%) rispetto a gennaio (1%). L’economia del Regno Unito ha rallentato moderatamente, ma avanza ancora a un buon passo (2% annuale). La Cina ha chiuso il trimestre più o meno dove l’aveva iniziato, segnando una crescita annua del Pil del 6,8%, risultato più contenuto di quello di novembre 2014 (7,5%), ma sostanzialmente in linea con l’obiettivo del governo per il 2015. Tuttavia, crediamo che sia ragionevole aspettarsi una crescita più bassa, attorno al 4%.

La zona euro è stata di gran lunga la regione che più ha corso nel trimestre, aumentando il tasso di crescita del Pil annuo per il 2015 all’1,7% nel mese di aprile rispetto all’1% di fine 2014. La Germania continua ad accelerare, ma il recupero della periferia è particolarmente incoraggiante. La crescita della produzione ha recentemente raggiunto il 3,6% in Spagna e l’1,2% in Italia, paesi che sono finalmente usciti dalla recessione. La Francia è in ritardo, con una crescita praticamente bloccata allo 0,7%.

La crescita economica dei paesi emergenti, invece, è stata calante dal 2010 al 2013, per poi stabilirsi sul 3% annuo dal 2013 a metà del 2014. Da allora si registra un nuovo calo, ma con gradazioni diverse a seconda degli indici che si utilizzano. Si deve rimanere vigili, quindi, anche alla luce delle vulnerabilità macro-finanziarie di questi mercati.

Focus su Eurozona
Il Quantitative easing lanciato dalla Banca centrale europea a inizio marzo ha scosso i mercati finanziari. I suoi effetti si fanno sentire almeno su cinque fronti: contrazione dei rendimenti governativi, deflussi di capitale, euro in picchiata, aspettative di inflazione più elevate e crescita dei mercati azionari. Francia e Spagna (per non parlare della Germania) possono indebitarsi a breve termine a tassi negativi. I rendimenti tedeschi sono inferiori a quelli del Giappone su diversi orizzonti temporali.

La caccia di rendimenti più elevati ha spinto le allocazioni di portafoglio fuori della zona euro, soprattutto verso il debito a lungo termine degli Stati Uniti. Questo cambiamento ha ulteriormente alimentato la forza del dollaro e ha contribuito a mantenere i rendimenti del Tesoro Usa a livelli bassi.

Intanto, il dollaro ha toccato contro l’euro il suo massimo degli ultimi 12 anni. Le esportazioni sono rimaste deboli, ma è ancora troppo presto. Gli effetti reali di un cambiamento nel tasso di cambio si vedono con 12-18 mesi di ritardo. Perciò mi aspetto che l’avanzo delle partite correnti dell’Eurozona si amplierà nel secondo semestre. Anche le aspettitave inflazionistiche sono aumentate. Per il prossimo decennio non siamo ancora all’obiettivo del 2% della Bce (attualmente le aspettative decennali si attestano all’1,4%), ma il trend è quello giusto. Inoltre, dal 2 gennaio 2015, giorno in cui Mario Draghi ha ufficializzato il Qe europeo, i mercati azionari del Vecchio continente hanno sovraperformato (in dollari) tutti gli altri mercati principali.

Capitolo a parte per la delicata situazione greca. Nel paese c’è un problema di liquidità e le eventuali restrizioni da parte della Bce sui prestiti alle banche greche potrebbero compromettere le disponibilità delle casse del governo. Le decisioni politiche sono difficili da prevedere, ma le istituzioni della zona euro sembrano convinte che il pericolo di contagio finanziario ad altri paesi sia più contenuto rispetto a tre anni fa. Ciò significa che le probabilità che Atene rimanga nell’euro sono più basse che in passato.

Per scaricare lo studio completo, clicca qui.

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Francisco Torralba, Ph.D.  Francisco Torralba is an Economist for Morningstar Investment Management.

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