Utility, la sfida dell’autoproduzione

Le nuove tecnologie mettono in pericolo la posizione di vantaggio delle aziende di servizi di pubblica utilità. Ma i rischi possono trasformarsi in opportunità. Come spiegano gli analisti di Morningstar in uno studio sul settore.  

Morningstar 10/09/2014 | 10:47
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Investitori attenti: le nuove tecnologie potrebbero cambiare il volto delle utility così come le conosciamo oggi. La possibilità di produrre energia in loco, attraverso pannelli solari, piuttosto che turbine eoliche, e di rivendere eventualmente quella in eccesso (cosiddetta Distributed generation) aumenta la concorrenza nel settore e rischia di intaccare la posizione di vantaggio dei grandi operatori.  Le utility dovranno ripartire il costo per il funzionamento delle centrali elettriche e della rete su un numero sempre più limitato di clienti e questo le costringerà ad alzare le tariffe se vorranno mantenere inalterati i margini di profitto. Ma la crescita del prezzo dell’energia avrà come effetto quello di invogliare una quota sempre più crescente di famiglie e imprese a rendersi indipendenti.

Il moat nelle utility
Le aziende che forniscono servizi di pubblica utilità come acqua ed energia elettrica godono di una specie di monopolio territoriale.  Gli enti locali stipulano con loro contratti di esclusiva, ma in cambio calmierano le tariffe per l’erogazione delle prestazioni alla clientela. In questo modo le utility hanno una base di clienti sufficientemente elevata per ammortizzare i costi fissi delle loro attività e, nonostante non siano libere di fissare autonomamente il prezzo delle prestazioni, le tariffe previste dalle autorità regolamentari garantiscono un rendimento del capitale almeno sufficiente a ripagare il costo degli investimenti e a remunerare gli azionisti. Solo i produttori di energia nucleare, a nostro avviso, vantano una posizione di vantaggio competitivo. Essi, infatti, riescono a mantenere i costi di produzione molto più bassi rispetto a quelli che invece ottengono energia da combustibili fossili, come ad esempio il carbone. In più gli elevati costi di investimento e le problematiche relative alla costruzione di nuove centrali nucleari li mette al riparo dall’ingresso di nuovi competitor. 

La diffusione della “autoproduzione” (o Distributed generation, DG) rischia però di innescare una spirale negativa che minaccia la profittabilità del settore. Essi, infatti, sottraendo clienti delle utility costringono queste ultime ad alzare i prezzi al fine di mantenere stabili i propri margini, ma questo rende ancora più conveniente l’adozione di pannelli solari e altri distributori simili, creando in questo modo un circolo vizioso che si autoalimenta.  C’è solo un modo in cui le aziende del settore possono continuare a mantenere stabili i loro rendimenti nonostante il calo della domanda ed è quello di limitare al massimo gli investimenti nella rete fino ad azzerarli. Questo garantisce agli investimenti un ritorno sufficiente ma per un lasso di tempo limitato alla durata fisica degli asset dell’azienda.

Se è vero che al momento i DG rappresentano una piccola fetta della produzione di energia elettrica nel mondo (solo l’1% di quella statunitense), si stima che grazie ai finanziamenti statali e alle nuove tecnologie che ne abbasseranno i costi, in futuro diventerà sempre più conveniente produrre autonomamente. Negli Stati Uniti questo processo potrebbe manifestarsi nei prossimi anni, mentre nel Vecchio continente molte società sono già costrette a cambiamenti radicali se vogliono rimettere in piedi il loro business.

Come salvaguardare il business
I DG, però, hanno bisogno a loro volta di centrali elettriche sia per vendere loro l’energia in eccesso che per comprarla nel caso in cui la produzione non sia sufficiente e questo dà alle utility del settore la possibilità di sopravvivere al cambiamento tecnologico.  Un’attenta pianificazione degli investimenti in modo da integrare i DG nella rete potrebbe infatti ridurre l’esigenza di aggiungere nuova potenza alle centrali e allo stesso tempo soddisfare i nuovi parametri di produzione di energia da fonti alternative.

Un esempio, in questo senso, è fornito da RWE. Dopo che i suoi utili sono crollati a causa delle sovvenzioni statali a favore delle energie rinnovabili, l’utility tedesca ha cambiato strategia puntando ad aiutare i soggetti privati a gestire e a integrare i loro distributori di energia nella sua rete e questo ora le garantisce flussi di cassa che in qualche modo compensano il calo della sua clientela.

Di seguito segnaliamo i titoli di alcune società che a nostro avviso trarranno vantaggio dalla diffusione dei DG. Consigliamo agli investitori di stare alla larga da quelle società che operano in regimi regolamentati che non garantiscono loro un sufficiente ritorno dei loro investimenti, poiché il calo della domanda di energia da parte dei grandi operatori come le imprese si trasformerà in una compressione dei margini di profitto come è successo nel caso di RWE e E.On.

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