I tassi viaggiano verso l'ignoto

Quelli a lungo termine, dicono gli operatori, si muovono al ribasso da 30 anni. La situazione potrebbe cambiare, ma è difficile prevedere quando accadrà. Ecco tutte le variabili da tenere in considerazione. 

Marco Caprotti 10/07/2014 | 10:51
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Tutti pronti per un rialzo dei tassi di interesse reali? C’è un solo problema: non si sa esattamente quando – e se - questo accadrà. “La mia opinione è che ci sarà un movimento al rialzo da ora alla prossima recessione”, spiega uno studio firmato da Francisco Torralba, economista di Morningstar Investment Management (MIM). “Ma, al di là di fluttuazioni cicliche, penso che il suo andamento non sia prevedibile”.

Troppo risparmio
I tassi di interesse reali sono scesi per 30 anni in molti paesi. Per rendersene conto basta guardare i rendimenti dei bond inflation linked in Usa, Regno Unito e Giappone. In altri paesi, dove il mercato per questi strumenti è meno sviluppato, gli economisti per calcolare i tassi di interesse reali aggiustano i rendimenti di mercato per l’inflazione attesa. Ma il risultato è sostanzialmente lo stesso.

Ma perché si è verificato questo fenomeno? La ragione che viene citata più spesso è “l’eccesso di risparmio a livello globale”. Una spiegazione data dall’ex presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke. Più in dettaglio, la crescita degli stipendi nei mercati emergenti – certificata anche da un report di quest’anno del Fondo monetario internazionale – ha fatto aumentare i risparmi che l’Occidente non è stato in grado di attrarre. In pratica, una continua abbondanza di capitale, ne ha ridotto il valore. “Questo, da solo, non dà una spiegazione completa del fenomeno”, dice Torralba. “Per avere una situazione di equilibrio, i risparmi devono essere uguali agli investimenti. Se i primi sono troppi o i secondi sono scarsi, allora i tassi di interesse reali scendono”. E’ esattamente quello che si è visto dal 1970 nelle economie più mature. Secondo uno studio del 2010 del McKinsey Global Institute, inoltre, dal 1980 al 2008 le spese in conto capitale sono state di 20mila miliardi di dollari più basse rispetto a una situazione di tassi stabili.

La scarsa richiesta di investimenti può essere rintracciata anche in altri fattori. Le grandi multinazionali del ventesimo secolo (come Ford, BP e Airbus) per svilupparsi hanno avuto bisogno di utilizzare miliardi di dollari. “Oggi una start up ha necessità di meno soldi per iniziare e per crescere”, spiega l’economista di MIM.

Le altre cause
Un altro elemento è la diminuzione della forza lavoro. Questa idea è stata espressa nel 1939 dall’economista Alvin Hansen secondo cui, il rallentamento della crescita della popolazione globale e “la mancanza di importanti innovazioni” avrebbero rallentato la crescita e depresso i tassi di interesse. “I 30 anni seguenti hanno dimostrato che Hansen ha sbagliato per quanto riguarda la parte sull’innovazione”, scrive Torralba. “Le preoccupazioni per l’andamento demografico, invece, nel 21esimo secolo sembrano corrette”.

Ci sono poi gli interventi umani, ben evidenziati dai lavori di John Taylor e John Cochrane: incertezze politiche, cattive leggi e distorsioni dei mercati. Tutti elementi che, dicono, scoraggiano gli investimenti.

Non va sottovalutato nemmeno il comportamento dei grandi player. Banche centrali e fondi sovrani hanno aumentato la richiesta di asset sicuri. Questo ha spinto al ribasso i rendimenti degli strumenti più popolari. “In questo senso il calo dei tassi di interesse riflette la mancanza di strumenti sicuri e liquidi”, spiega Torralba. “Anche questo elemento è stato più volte sottolineato da Bernanke. Infine, il Quantitative easing può aver contribuito, tuttavia non è ancora chiaro in quale entità”.

La Cina all’indice
Ma la grande colpevole per il calo dei tassi di interesse a lungo termine degli ultimi anni sembra essere la Cina. Secondo i dati dell’Fmi, il colosso asiatico dal 2001 al 2013 ha esportato più capitali di ogni altro paese emergente. Ma ha anche portato avanti politiche che hanno ridotto i consumi interni. “In futuro questa situazione cambierà, ma non è chiaro cosa implicherà per i tassi di interesse" dice Torralba. “Ridurre i risparmi domestici non dovrebbe essere difficile, almeno sulla carta. Secondo il Fondo, i risparmi cresceranno ancora fino al 2019. Soprattutto se Pechino dovesse decidere di diminuire gli investimenti”. E per quanto riguarda gli altri paesi? In futuro gli emergenti potrebbero crescere a ritmi più moderati rispetto al passato. Sempre secondo l’Fmi, il potenziale di crescita degli emergenti è dell’1,25% più basso rispetto al 2000. Un andamento più lento potrebbe ridurre i risparmi, spingendo in alto i tassi di interesse.

Economia in folle
Questa situazione fa il paio con la nuova teoria lanciata da Pimco chiamata New neutral (evoluzione del New normal che parlava di una fase di crescita sotto la media per l’economia globale dopo la crisi finanziaria). Il nuovo assioma prevede un andamento della congiuntura lento ma stabile, mentre i tassi di interesse delle Banche centrali resteranno al di sotto dei livelli precedenti alla crisi. Ai manager di Pimco piace paragonare questa situazione a una macchina che non viaggia più con il freno a mano, ma che è ferma in folle.

“Il New neutral è semplicemente il più grande, il più critico, il più significativo e il più importante elemento per la determinazione dei prezzi degli asset di investimento”, ha spiegato il fondatore e responsabile degli investimenti di Pimco, Bill Gross, durante l’ultima Morningstar investment conference di Chicago. Il copyrigth del termine, per la cronaca, non è nemmeno di Pimco o di Gross. La prima volta è apparso in un’analisi di Bloomberg del marzo di quest’anno in cui si sottolineava come tassi di interesse neutrali – cioè che non stimolano né frenano l’espansione – probabilmente saranno più bassi in economie come gli Stati Uniti a causa del debole potenziale di crescita.

Dove andranno i tassi
Lo studio di McKinsey, da parte sua, dice di prepararsi a un boom degli investimenti, almeno nelle economie in via di sviluppo. La rapida urbanizzazione, dice il report, farà crescere la domanda per strade, porti, centrali energetiche, scuole, ospedali e case. Questo, unito a un calo dei risparmi, rimetterà sulla via della crescita i tassi di interesse a lungo termine. “Questa ipotesi secondo me ha tre punti deboli”, dice Torralba (MIM). “Primo: potrebbe sottostimare il probabile rallentamento degli investimenti della Cina, il più grande fra gli emergenti. Secondo: l’aumento della ricchezza da investimenti finanziari per i privati in alcuni stati emerging rischia di essere un processo molto lungo e sul quale non abbiamo certezze. Potrebbe accadere oggi come fra 30 anni. Terzo: non si tiene conto dell’impatto che le spese legate all’età avranno sui risparmi di una popolazione che sta invecchiando.

C’è poi il fattore politico. “I tassi di interesse potrebbero restare bassi perché i governanti vogliono così”, continua l’economista di MIM. “I pagamenti degli interessi per molti paesi occidentali diventerebbero insostenibili se i tassi dovessero alzarsi”. Per evitare che i costi al servizio del debito stiano bassi gli stati potrebbero optare per la cosiddetta financial repression. “Con questo termine si intendono tutte le manovre fiscali e regolamentari studiate per tenere i tassi bassi. Ad esempio riempiendo i fondi pensione pubblici con debito sovrano. Oppure richiedendo a banche e assicurazioni requisiti patrimoniali tali da obbligarle a possedere carta governativa”. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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