Il prezzo non fa l'opportunity

Per le loro decisioni gli investitori spesso utilizzano sistemi di analisi che si basano sui multipli degli utili attesi. Ma il sistema non sempre funziona. Ecco perché. 

Marco Caprotti 08/07/2014 | 14:59
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“L’importanza dei soldi deriva dal fatto di essere un legame fra il presente e il futuro”, diceva l’economista John Keynes. Lo sanno bene gli investitori finanziari per i quali, però, la situazione è un po’ più complessa: devono riuscire a capire quanti soldi farà un’azienda in futuro, mettere il dato in relazione ai prezzi correnti di Borsa e, in questo modo, sperare di guadagnare dall’apprezzamento delle azioni.

La difficoltà di prevedere
Da qui il successo di metodi di analisi come il rapporto fra prezzo e utili (price/earning in inglese o P/E). La relazione fra i due elementi dovrebbe indicare se un titolo sta trattando a sconto o a premio. “Sembra facile a parole, ma il calcolo deve tenere in considerazione tutta una serie di elementi il cui andamento futuro è difficile da prevedere. Come i flussi di cassa dei prossimi anni, che possono cambiare con il mutare delle condizioni macroeconomiche”, spiega uno studio di Legal & General Investment management (L&G).

Migliori capacità di previsione, almeno in apparenza, sembra avere il rapporto cosiddetto Cape (Ciclically adjusted PE, che mette in relazione il prezzo corrente di Borsa con la media degli utili per azione degli ultimi 10 anni, entrambi aggiustati per tenere conto dell’inflazione). La storia, tuttavia, dimostra che è efficace solo nel lungo termine, mentre non è in grado di prevedere gli andamenti dell’equity di breve periodo.

Un altro dei pilastri degli analisti dice che un titolo sottovalutato ha poco spazio per perdere altro terreno. In realtà gli avvenimenti politici ed economici possono accanirsi anche sulle azioni meno costose. Un esempio in questo senso è Gazprom. “L’utility russa prima della crisi fra Ucraina e Mosca era trattata a un rapporto prezzo utili pari a tre (quindi molto basso, Ndr)”, spiega una nota di Morningstar. “Eppure nelle settimane seguenti allo scoppio delle tensioni ha perso un quarto del suo valore”.

La valutazione non basta
Qual è la morale di tutto questo? “La lezione è che quando un investitore sente parlare solo di valutazioni come motivo per comprare e vendere azioni deve diventare prudente”, dice lo studio di L&G. “I prezzi messi in relazione con la media dei valori passati non sono un indicatore di quello che succederà nei prossimi uno o due anni. Ragionare sui multipli, inoltre, rischia di far passare in secondo piano elementi importanti di analisi come gli sviluppi congiunturali e politici. Basse valutazioni, infine, non significano una difesa contro perdite dolorose”.

Non potendo contare su una sfera di cristallo, intanto, gli investitori devono fare affidamento sui sistemi esistenti. “L’analisi dei multipli dice che l’equity americano nei prossimi 10 anni darà rendimenti compresi fra il 4% e il 7%, mentre quelli delle azioni europee si troveranno all’interno di una forchetta che va dal 5,5% all’11%”, dice la nota di Morningstar. “Si tratta di risultati al di sotto delle medie storiche, ma decisamente più alti rispetto a quelli di altri asset di investimento come, ad esempio, il reddito fisso”. 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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