Mifid II, ci siamo (quasi)

Approvata dall’Ue l’intesa sulla nuova regolamentazione finanziaria. Tra le novità, limiti al trading algoritmico e ai derivati sulle commodity. Ora manca solo il sì dei singoli governi. 

Valerio Baselli 30/01/2014 | 11:11
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Dopo quasi due anni di contrattazioni, il Parlamento e il Consiglio europeo hanno finalmente approvato il testo finale della Mifid II, l’aggiornamento della Markets in financial instruments directive del 2004, la regolamentazione comunitaria dei mercati finanziari e dei loro strumenti d’investimento. Con lo scoppio della crisi finanziaria del 2007-2008, si è avvertita infatti la necessità di rimodellare la direttiva europea rendendola più forte, con l’obiettivo di limitare la speculazione sui mercati, aumentare la trasparenza e fornire maggiore protezione agli investitori retail.

In particolare, la Mifid II si sviluppa su sette punti ben delineati: trasparenza, supervisione, concorrenza, alta frequenza, protezione investitori, sanzioni, paesi terzi.

La nuova normativa, ad esempio, impone alle banche di informare i clienti sulla natura degli strumenti finanziari utilizzati nella gestione dei portafogli d’investimento. Nuove regole saranno introdotte contro l’high-frequency trading, vale a dire le contrattazioni gestite da computer che vendono e comprano in automatico. Le società che si avvalgono di questi sistemi dovranno prevedere meccanismi di blocco e dovranno ricevere un benestare tecnico per ogni algoritmo utilizzato.

Più protezione per le materie prime
Tra le misure più importanti c’è inoltre la possibilità per le autorità competenti di imporre limiti alle posizioni che gli operatori potranno assumere su alcuni strumenti finanziari, e in particolare sui derivati relativi alle materie prime. Il tentativo è di impedire soprattutto la speculazione sui prodotti agricoli ed energetici.

In pratica, la proposta prevede l’obbligo di concentrazione degli scambi per alcuni derivati. Questo significa che non potranno più essere comprati e venduti over the counter, in sostanza al telefono o dal pc dai trader (e, di fatto, fuori dai mercati regolamentati), ma dovranno essere scambiati per forza di cose su listini ufficiali.

Ma i problemi non mancano. Innanzitutto l’Europa non ha ancora deciso quali derivati nello specifico saranno sottoposti a questa restrizione. Inoltre, i contratti che rientreranno in questi nuovi obblighi non saranno quotati su vere e proprie Borse, ma su listini di nuova costituzione: gli Otf (Organized trading facility), in cui le regole saranno comunque più permissive (ma anche qui non ci sono dettagli).

Tra il dire e il fare...
La nuova normativa dovrà passare al vaglio dei singoli governi nazionali, ed entrerà in vigore due anni e mezzo dopo l’approvazione finale. Come sempre, la contrapposizione vede i paesi più liberali da una parte (Gran Bretagna su tutti) che temono delle ricadute sulla liquidità dei mercati e quindi sulla competitività delle società europee, e quelli più dirigisti dall’altra (come la Francia), che credono alla necessità di un mercato più regolamentato e teoricamente più sicuro.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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