Etf, occhio alla “trappola” dei costi bassi

I tagli alle commissioni sono certamente una buona notizia, ma non dovrebbero essere l’unico parametro di valutazione. Inoltre, i prodotti low-cost potrebbero venire usati come esca.

Valerio Baselli 02/12/2013 | 16:24
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La chiamano “guerra dei prezzi”, termine col quale si indica la corsa al ribasso delle commissioni degli Exchange traded fund. Fenomeno nato negli Stati Uniti, ma ormai ben presente anche in Europa. Da oltre un anno, infatti, i principali emittenti di replicanti si fanno la “guerra” a colpi di annunci di tagli sulle commissioni, soprattutto dopo l’arrivo nel Vecchio continente di Vanguard, gigante americano specializzato nei fondi passivi a basso costo (per approfondire, clicca qui).

Cosa c’è di male? Fin qui niente, anzi, è un’ottima notizia per gli investitori. Le commissioni da pagare, infatti, sono l’unica vera certezza che si ha ex-ante. Inoltre, Morningstar mette da sempre in guardia sull’erosione dei rendimenti nel lungo termine causata da costi eccessivi. Tuttavia, occorre fare un passo in più.

Attenzione agli specchietti per le allodole
“La guerra dei prezzi tra gli emittenti di Etf è un po’ come il sottocosto dei supermercati, spesso le minori commissioni vengono usate dalle società di gestione per attirare l’investitore/consumatore con l’intenzione in un secondo momento di spingere una serie di prodotti d’investimento più cari”, commenta Roger Wohlner, consulente finanziario indipendente, in una nota per Morningstar.

“Il fatto che un Etf abbia delle commissioni molto basse non è da sola una buona ragione per acquistarlo”, prosegue Wohlner. “La cosa più importante quando si include un Etf nel proprio portafoglio è comprendere cosa si sta comprando, soprattutto considerando che ogni giorno vengono emessi nuovi prodotti che replicano indici sempre più complessi”. Un recente studio di Vanguard ha dimostrato che negli Stati Uniti i circa 1.400 Etf quotati replicano oltre mille benchmark diversi, e più della metà di questi indici hanno meno di sei mesi di vita.

Quello che conta è la pianificazione
“Cosa vuol dire davvero risparmiare?”, si chiede il consulente. “Dubito che vendere un prodotto che costa lo 0,14% l’anno e sostituirlo con un altro che chiede lo 0,12% faccia davvero la differenza, anche alla luce dei costi di transazione. Occorre dare il giusto peso ai vari aspetti: dovrebbe essere il proprio piano finanziario a lungo termine, il livello di rischio che si vuole assumere, la strategia d’investimento a guidare la scelta di un Etf o di un altro prodotto, non delle commissioni leggermente più basse”. Insomma, è meglio riflettere bene prima di sostituire un replicante liquido, trasparente, magari che assume meno rischi a livello di prestito titoli o di controparte, con un altro prodotto solo perché costa qualche punto base in meno.

In più, è sempre bene ricordare che il Ter (Total expense ratio) non prende in considerazione tutte le voci di costo reali, anzi lascia fuori alcuni importanti aspetti, come lo spread bid-ask e i costi di negoziazione (clicca qui e qui, per approfondire).

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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