Morningstar, Etf al test dei costi

Abbiamo confrontato un’ampia gamma di replicanti geografici e settoriali utilizzando l’Estimated holding cost. Ecco i risultati e come leggerli.  

Azzurra Zaglio 26/06/2013 | 11:01
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Quanto costa un Etf? Il Ter, ossia l’indicatore sintetico di spesa, da solo non risponde a questa domanda. Morningstar ha elaborato l’Estimated holding cost (EHC), un indice proprietario che mira alla misura della performance di un Etf rispetto al relativo benchmark, al netto di costi e ricavi, come il rischio di controparte, gli spread bid/ask, il prestito titoli, il ribilanciamento (per i fisici) e lo swap (per i sintetici).

Quando compare il segno meno
L’EHC si fonda su un ampio insieme di dati di rendimento di un determinato orizzonte temporale, basandosi sui Nav dell’Etf e i valori del relativo benchmark. Generalmente, ci si attende un EHC positivo, ma talvolta può essere negativo. Un valore di costo per sua stessa natura è solitamente positivo, in quanto dovrebbe penalizzare la performance del fondo rispetto al benchmark. Un valore negativo indica che l’Etf ha sovraperfomato l’indice di riferimento. Ciò succede soprattutto come conseguenza della tassazione dei dividendi. Per esempio, molti replicanti l’Euro Stoxx 50 hanno un EHC negativo perché rispetto alla tassazione dell’indice, riescono ad avere una fiscalità più favorevole nel paese di domicilio.

La componente di costo di maggiore impatto è il Total expensio ratio (Ter). Morningstar, valutando la relazione tra il Ter e l’EHC, mostra come le due serie di valori abbiano una correlazione reciproca del 63% e un coefficiente di determinazione RQuadro di 0,395, il che denota che quasi il 40% dell’EHC di un Etf è spiegato appunto dal suo Ter. In termini economici, ne consegue che l’aumento di 1,6 punti base del Ter di un Etf sarà correlato a un incremento di 1,6 bp del suo EHC. Ciò fa supporre che costi più alti generalmente si riflettono in una peggiore replica dell’indice. Il peso del Ter (63%) nel determinare l’EHC è importante, ma non è il solo. A impattare sono anche altre voci come il prestito titoli, il cash drag (sacche di liquidità) e l’ottimizzazione della tassazione. 

Universo di analisi
Abbiamo esaminato gli Etf che replicano gli indici azionari più ampi e diffusi tra gli investitori europei, ossia Euro Stoxx50, FTSE 100, S&P 500, Dax, Msci Emerging markets, World e Japan. Inoltre, è stato considerato anche l’indice Msci Brazil come esempio di un mercato che ha imposto delle restrizioni nell’acquisto di azioni. Per ogni indice, sono stati presi quei replicanti europei con un’adeguata copertura di serie storiche (circa il 37% del patrimonio totale).

Ove possibile è stata considerata la classe a capitalizzazione da confrontare con il rendimento totale del benchmark. In tutti gli altri casi è stato usato il valore patrimoniale netto (Nav) rettificato che prevede l’immediato reinvestimento dei dividendi distribuiti.

Tra i settoriali abbiamo selezionato 183 Etf europei che presentano sufficienti dati di rendimento. Essi rientrano in 11 categorie settoriali e i dati di aggiornamento sono al 17 giugno 2013.

I risultati
Un primo risultato importante dell’analisi è il fatto che in termini di costi assoluti il metodo di replica non è una determinante dell’EHC, mentre in termini relativi (ossia tra replicanti lo stesso indice) in alcuni casi fa la differenza. Infatti, come si vede nella tabella, nel caso dell’Msci World i valori percentuali dell’EHC sono perfettamente speculari (-0,15% i fisici e 0,15% i sintetici). Solo i replicanti l’indice Msci Giappone e il Dax si avvicinano molto.

A livello settoriale per ben sei categorie i replicanti riescono a sovraperformare il benchmark, di cui in cinque casi quelli fisici e in due quelli sintetici. Inoltre, qui l’EHC differisce sempre in base alla replica adottata con un gap più evidente rispetto alla tabella degli indici regionali.

Si potrebbe concludere che i settoriali sono meno costosi dei geografici, in quanto presentano maggiori valori EHC negativi e hanno dimostrato di battere più frequentemente il benchmark. Ma gli analisti spiegano che la ragione è spesso da attribuire a una diversa tassazione. Inoltre, essi ricordano che per un Etf battere il benchmark non è una determinante come nei fondi: il gestore non mira a sovraperformare il sottostante e l’investitore che per esempio sceglie un Etf per una strategia short può addirittura incontrare difficoltà a fronte di sovraperformance.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Azzurra Zaglio

Azzurra Zaglio  è stata Redattrice di Morningstar in Italia.

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