La miniera non è d’oro

Le società che estraggono il metallo giallo hanno performato decisamente peggio rispetto al prezzo spot della commodity. La colpa, con alcune eccezioni, è nella gestione.

Valerio Baselli 15/04/2013 | 12:34
Facebook Twitter LinkedIn

Un dollaro investito nell’oro fisico cinque anni varrebbe oggi circa 1,70 dollari, mentre lo stesso investito nel settore mining, quello delle società che lo estraggono varrebbe in media circa 80 centesimi. Ci sono infatti due diverse strade per investire sul metallo giallo, ma è bene ricordare che possono avere percorsi molto diversi. Come si spiega questa differenza?

La teoria più diffusa è che l’avvento degli Exchange traded product (Etp, acronimo che comprende Etf, Etc ed Etn) abbia in qualche modo cannibalizzato l’investimento in materie prime, assorbendo quei capitali che sarebbero entrati invece nelle aziende minerarie, deprimendo così le loro valutazioni. Ma una spiegazione del genere, in parte vera, avrebbe senso nel breve periodo, ma non spiega il perdurare della debolezza delle società estrattive. Inoltre, anche prima dell’avvento dei replicanti, le aziende del settore non erano in grado di fornire una leva rispetto al prezzo spot dell’oro.

Azionisti dimenticati
“In teoria, le aziende estrattive dovrebbero avere una forte leva operativa, proprio perché i loro costi fissi sono molto più importanti di quelli correnti. La verità è che bisogna essere davvero incompetenti per avere una leva operativa negativa quando il prezzo del bene che si vende sale del 70%”, commenta in una recente nota Samuel Lee, analista Etf di Morningstar.

Nel grafico sottostante, gli analisti di Morningstar hanno messo a confronto l’evoluzione del prezzo spot dell’oro con il rendimento aggiustato per l’inflazione dell’indice HSBC Global Gold, che contiene le principali società estrattive del mondo, dal 1989 al 2012. La prima cosa che salta all’occhio è la volatilità, decisamente più elevata per quest’ultimo.

 

“Perfino contando il reinvestimento dei dividendi, le società minerarie non sono riuscite a offrire un ragionevole premio rispetto al prezzo del metallo giallo”, prosegue Lee. “La verità è che queste aziende sono state in media dei pessimi allocatori di capitale, paradossalmente in un settore a utilizzo intensivo di capitale. Se il management si fosse focalizzato sul ritorno di cassa per gli azionisti e sul mantenere i costi bassi, i rendimenti sarebbero stati molto diversi”. Anche l’evoluzione dei dividendi testimonia che (aggiustati per l’inflazione) sono stati in media in discesa continua negli ultimi vent’anni. Invece di redistribuire il reddito tra gli azionisti, i manager hanno utilizzato gli enormi profitti per acquisire o sviluppare nuove miniere, che raramente hanno portato ai ritorni sperati.

Sete (insaziabile) di capitale
Dal 2005 al 2012, la capitalizzazione di mercato aggregata delle società facenti parte del settore mining è cresciuta del 16% annualizzato, mentre il loro prezzo complessivo è salito nello stesso periodo del 7,7% annualizzato. “La differenza misura la diluizione delle azioni, avvenuta con nuove emissioni finalizzate a raccogliere capitale”, afferma l’analista, “e raramente è una buona idea investire in società che richiedono un ingente utilizzo di capitale in condizioni di forte incertezza”.

Nonostante i fondamentali apparentemente attraenti, il settore delle miniere d’oro soffre quindi di grossi problemi strutturali, specialmente per un investimento di lungo periodo. Innanzitutto, le spese in conto capitale sono enormi e non danno segno di diminuire. Inoltre, le principali fonti di oro sono ormai mature e questo spinge gli estrattori a scavare più a fondo o ad avventurarsi in regioni instabili, dove i servizi e le infrastrutture sono quasi inesistenti. Inoltre, c’è sempre il pericolo che questi progetti, molto costosi, non diano i frutti sperati. Ovviamente questo è un discorso generale che non vale per ogni singola azienda del settore. Ci sono infatti società come Randgold Resources o come Eldorado Gold Crop che vantano un ottimo rating azionario, assegnato dai nostri analisti d’oltreoceano.

Problemi di lungo periodo
“Negli ultimi mesi i dividendi hanno mostrato una tendenza al rialzo e nel breve-medio periodo, il settore estrattivo può anche essere una buona opzione per chi cerca un investimento scorrelato dai mercati azionari e da quelli obbligazionari”, conclude Samuel Lee. “Nel lungo periodo, tuttavia, non è chiaro se i grossi flussi di cassa entrati nelle aziende saranno restituiti agli azionisti”.

Qui sotto il confronto tra i fondi comuni dedicati alle aziende impegnate all’estrazione dell’oro disponibili in italia e gli Etp auriferi quotati a Piazza Affari, classificati per rendimento da inizio anno. Da notare come l’unico Etf dedicato al settore minerario presenti performance decisamente lontane da quelle degli altri replicanti, esposti invece all’investimento diretto nel metallo giallo.

 

 

Dati in euro al 9 aprile 2013, al lordo dell'imposta sul Capital gain
Fonte: Morningstar Direct

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

Facebook Twitter LinkedIn

Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

© Copyright 2024 Morningstar, Inc. Tutti i diritti sono riservati.

Termini&Condizioni        Privacy        Cookie Settings        Disclosures