I fondi pensione battono il Tfr

Nel 2012, i rendimenti medi sono superiori alla rivalutazione del Trattamento di fine rapporto. Dal lato adesioni, però, la recessione e la perdita del lavoro si fanno sentire.

Valerio Baselli 30/01/2013 | 15:47
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Non succedeva dal 2009. Secondo i dati della Covip, Commissione di vigilanza dei fondi pensione, nel 2012 non c’è stata una categoria che ha segnato una performance media inferiore alla rivalutazione del Tfr, pari al 2,9%.

Nello specifico, i fondi pensione negoziali hanno registrato un rendimento medio dell’8,2%, i fondi aperti del 9% e i Pip (Piani individuali pensionistici) unit linked sono saliti in media dell’8,9%. Anche a livello di sottocategorie, si contano solo rendimenti superiori al Tfr, seppur molto diversi a seconda delle linee d’investimento. Si spazia così dal 3% della linea obbligazionaria pura dei fondi negoziali all’11,4% di quella azionaria pura, sempre dei negoziali.

In generale, si può affermare che i comparti azionari abbiano tutti segnato i migliori risultati, seguiti dai bilanciati e infine dai comparti a reddito fisso. Detto questo, è sempre bene ricordare che nell’investimento previdenziale non si può prescindere da un’ottica di lungo periodo.

Adesioni, caccia ai Pip
Il nodo dolente, tuttavia, rigurda il tasso di adesione ai fondi di previdenza complementare, storicamente molto basso in Italia. Secondo i dati Covip, il 2012 non fa eccezione. A fine anno, gli iscritti al secondo pilastro erano circa 5,8 milioni di persone, il 6% in più rispetto a fine 2011.

Questo (piuttosto deludente) risultato medio nasconde delle divergenze molto importanti tra i vari strumenti. I fondi negoziali, infatti, hanno perso nell’anno l’1,2% degli aderenti, mentre i fondi aperti hanno accresciuto i propri iscritti del 3,7%. Probabilmente (in particolar modo per quanto riguarda i fondi negoziali, stipulati con la propria azienda), la recessione e gli effetti della manovra di risanamento dei conti pubblici comportano una riduzione dell’occupazione e del risparmio, mettendo sotto pressione le iscrizioni alla previdenza complementare.

L’unico segmento del settore che registra forti tassi di crescita è quello dedicato ai Pip, strumenti che hanno infatti aumentato i propri iscritti nel corso del 2012 del 22,2%, arrivando a circa 2,3 milioni di aderenti. I Pip sono spesso più cari dei fondi pensione tradizionali, ma vengono venduti per lo più da società assicurative, le quali possono contare su una capillare rete di distribuzione. Una scelta irrazionale, ma che evidenzia come l’accesso privilegiato e il rapporto di fiducia col cliente, il quale è evidentemente ancora legato alla figura dell’assicuratore o del promotore di famiglia, resta fondamentale in Italia.

Parola d’ordine: informare
“Il sistema della previdenza complementare è da consolidare, irrobustire e rilanciare se si vuole assicurare un futuro pensionistico agli italiani, soprattutto ai più giovani”, ha affermato il presidente Covip, Antonio Finocchiaro, nel corso di un convegno organizzato con il Censis, la settimana scorsa a Roma. Soprattutto, secondo Finocchiaro, occorre colmare la voragine informativa sul secondo pilastro, dal momento che le adesioni restano deludenti e che la fiducia negli strumenti di previdenza complementare è piuttosto scarsa, come evidenzia un recente studio proprio della Fondazione Censis. 

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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