Incentivo, quanto mi costi?

Ecco gli aspetti da considerare per comprendere al meglio l’incidenza di questa spesa.

Dario Portioli, CFA 04/06/2009 | 10:56
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Pubblichiamo la traduzione di un articolo scritto da Sonya Morris, analista Morningstar a Chicago.

Quanto pesa la commissione di incentivo sul rendimento del fondo? Il team di ricerca di Morningstar svolge numerose analisi sui costi dei fondi di investimento, in genere concentrando l’attenzione sul Total Expense Ratio (TER) – una misura sintetica dei costi complessivi di un fondo. I costi sono anche un elemento importante del Rating Qualitativo Morningstar . Il nostro interesse per le commissioni sostenute dai sottoscrittori dei fondi è molto semplice: queste sono tra i fattori più importanti nello spiegare in prospettiva le performance relative di un fond

o. I costi incidono in modo continuo, giorno dopo giorno, erodendo nel tempo la capacità di accumulazione del capitale.

Il TER include tutti i costi operativi (commissione di gestione e di incentivo, compenso della banca depositaria, spese di pubblicazione e oneri diversi), mentre non comprende i costi di transazione sostenuti per negoziare i titoli, le commissioni di sottoscrizione, rimborso e switch, pagate direttamente dal sottoscrittore. In particolare, nelle analisi svolte da Morningstar, le commissioni di incentivo vengono studiate in maggior dettaglio, in quanto possono dare origine a una notevole variabilità del TER effettivamente sostenuto.

Cosa sono le commissioni di incentivo?
Le commissioni di incentivo (o performance fees), se previste, vengono applicate quando il fondo genera rendimenti superiori al benchmark dichiarato su un dato orizzonte di tempo. Per illustrarne meglio il funzionamento, osserviamo la struttura “2 e 20”, tipica del mondo degli hedge fund. Questo meccanismo prevede una commissione annuale di gestione pari al 2% e una commissione aggiuntiva pari al 20% sui rendimenti che superano un determinato livello (hurdle rate). Da lungo tempo, l’industria degli hedge fund rimane fedele a questo profilo commissionale, ma osserviamo che anche l’industria dei fondi comuni si orienta in modo crescente verso questo meccanismo di remunerazione.

Dal nostro punto di vista, le commissioni di incentivo possono presentare alcune ambiguità. Se vengono strutturate in modo irragionevole, possono compensare un gestore anche quando questi non è in grado di svolgere in modo adeguato il proprio incarico. Inoltre, i fondi gestiti in modo attivo già applicano commissioni più elevate di quelli che replicano in modo passivo il proprio benchmark, come gli Etf, in quanto puntano a battere l’indice di riferimento. In un certo senso, il livello più elevato di TER dei fondi gestiti in modo attivo già prevede una commissione per la generazione di (o il tentativo di generare) extra rendimenti.
D’altra parte, addebitare una commissione per una performance superiore non è necessariamente una pratica negativa. Se strutturate in modo adeguato, le commissioni di incentivo possono contribuire ad allineare gli interessi dei gestori con quelli dei sottoscrittori, evitando allo stesso tempo che i costi complessivi divengano irragionevoli. Vediamo in quali casi ciò si può verificare.

Casi ideali: simmetria
Idealmente, ci piacerebbe verificare la presenza di commissioni di incentivo simmetriche. In tal modo, le spese complessive aumentano quando il gestore è in grado di generare extra rendimenti, ma diminuiscono nel caso opposto. Pochi Paesi, come ad esempio la Norvegia e gli Stati Uniti, richiedono alle società di gestione di applicare una struttura simmetrica per le commissioni di gestione. Tuttavia, questi Paesi costituiscono l’eccezione, non la regola. Nella gran parte dei casi, le commissioni di incentivo vanno in un’unica direzione, a favore delle società di gestione. Non ci sembra questa una condizione ideale per gli investitori.

Casi ideali: TER iniziale inferiore alla media
Se il fondo prevede una commissione di incentivo strutturata in modo asimmetrico, allora è opportuno che le commissioni di gestione iniziali siano inferiori alla media di categoria. In caso contrario, la società di gestione non sopporta alcun rischio, ovvero guadagna più di altri in qualunque circostanza, mentre il TER finale sostenuto dai sottoscrittori potrebbe divenire eccessivo. Consideriamo SocGen International SICAV, un fondo azionario internazionale (large-cap blend), che prevede una commissione di gestione del 2% e una commissione di performance pari al 10% dei rendimenti che superano il limite del LIBOR più il 2%. Questa struttura commissionale ha determinato nel 2008 un TER complessivo del 2.96%, di gran lunga superiore alla media di categoria del 1.63%, anche per effetto di una commissione di gestione iniziale più elevata.

Casi ideali: benchmark appropriato
Riprendendo l’esempio del SocGen International SICAV, osserviamo che il benchmark considerato per calcolare le commissioni di incentivo, il LIBOR più uno spread, appare poco rappresentativo della classe di investimento del fondo (azionario internazionale). Se il fondo riesce a batter un benchmark cash (LIBOR) oltre il 2%, scatta la commissione di incentivo, anche quando i rendimenti risultano inferiori a un benchmark più adeguato come potrebbe essere l’Msci World Index. Questa non ci sembra una buona proposizione, in quanto la commissione di incentivo potrebbe remunerare il manager anche quando di fatto sottrae valore. Al contrario, le commissioni di incentivo dovrebbero essere strutturate per ricompensare il manager per aver fatto meglio di altri nella classe di attivo nella quale investe. Così, ci piacerebbe trovare fondi che misurano la performance relativa contro un benchmark che rappresenti al meglio l’effettivo universo di possibili investimenti. Per esempio, un fondo che investe prendendo a riferimento l’intero mercato azionario italiano, dovrebbe essere confrontato con un indice come il Mibtel (FTSE Italia All Share da giugno 2009).

Casi ideali: barriere (high-water marks)
Le commissioni di incentivo dovrebbero anche prevedere alcune barriere prima di essere attivate, come ad esempio un NAV (net asset value o valore netto delle attività) superiore a quello più alto riferito ad un periodo precedente. Questo consente di evitare che i sottoscrittori paghino commissioni di incentivo su rendimenti che rappresentano semplicemente il recupero di perdite pregresse. Ad esempio, se un fondo realizza performance inferiori alla media nel 2008, i sottoscrittori non dovrebbero pagare una commissione di incentivo fino a quando il fondo non ha prima recuperato questo svantaggio. Se un fondo applica commissioni di incentivo senza questo vincolo, è un fattore negativo per le nostre valutazioni.

Casi ideali: trasparenza
Da ultimo, le commissioni di incentivo dovrebbero essere chiaramente comunicate e spiegate nella documentazione disponibile ai sottoscrittori. Quest’ultimi dovrebbero essere in grado di trovare tale dato e comprenderne facilmente il funzionamento. A tal fine, fornire informazioni relative ai risultati possibili su diversi scenari può aiutare a comprendere in prospettiva in che modo le commissioni di incentivo possono modificare i costi totali del fondo.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Dario Portioli, CFA

Dario Portioli, CFA  è Senior Fund Analyst di Morningstar in Italia.

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