Emerging, è il momento di mettersi in difesa?

Le azioni dei paesi in via di sviluppo hanno dato buoni rendimenti, sia da inizio anno che nel terzo trimestre. Gli indicatori relativi a questi asset, tuttavia, segnalano ancora delle trappole. 

Marco Caprotti 04/10/2016 | 15:10
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Un po’ di calcoli, una certa dose di coraggio e un pizzico di fortuna. Non è stato semplice per gli investitori che ci hanno creduto portare a casa un po’ di rendimento dalle azioni dei mercati emergenti.  Ora, però, potrebbe essere arrivato il momento di mettersi in difesa. L’indice Morningstar EM (in euro) nel terzo trimestre dell’anno ha segnato +4,03%, portando a +12,86% la performance da inizio anno.

L'indice Morningstar EM (da inizio anno e in euro)

emerging

 Fonte: Morningstar Direct

Un andamento curioso, visto in superficie. Lo scenario economico e politico del Brasile, ad esempio, non è cambiato molto da quando la recessione e gli scandali legati alla corruzione del governo hanno affossato il paese nel 2015. “Ma fra gli investitori con cui abbiamo parlato ora circola la convinzione che le questioni abbiamo fatto toccare al paese un livello così basso che non possa fare altro che riprendersi”, spiega Gregg Wolper, responsabile delle strategie azionarie di Morningstar. Una mano è arrivata anche dalla risalita (in parte inattesa) delle commodity che, fra le altre cose, ha aiutato anche la Russia.

Occhio al barile…
Affidarsi alle materie prime per continuare a puntare sui paesi in via di sviluppo a caccia di rendimenti, tuttavia, potrebbe essere un gioco pericoloso. Nel terzo trimestre, il petrolio (che rappresenta una voce importante delle economie emerging) si è mosso in una forchetta che va dai 40,5 ai 51,3 dollari al barile. Recentemente, la International Energy Agency (Iea) ha pubblicato il suo ultimo report mensile, che ha confermato che la crescita della domanda globale sta rallentando in maniera più rapida del previsto. Contemporaneamente, l'offerta dell’Opec resta forte (l’ultimo taglio della produzione non dovrebbe cambiare la situazione) e compensa il calo della produzione registrato nei paesi che non fanno parte del cartello dei produttori. Secondo le previsioni di Morningstar, il prezzo del barile non dovrebbe superare i 50 dollari nel 2017. Certo, il miglioramento dei fondamentali, grazie anche alla contrazione degli investimenti in nuovi progetti esplorativi, potrebbe spingere le quotazioni dell’oro nero fino ai 60 dollari. I valori, tuttavia, resterebbero ancora lontani dai 70 dollari considerati il limite minimo sopra il quale un barrel inizia a generare profitti.

…e ai fondamentali aziendali
Le considerazioni sui fondamentali riguardano anche le società quotate. “Molte delle aziende presenti sui listini dei paesi emergenti generano una parte significativa dei loro utili all’estero. Questo vuol dire che sono condizionate più dalla congiuntura globale che da quella domestica”, spiega Matthew Diamond, analista di Morningstar. “Molte aziende, inoltre, hanno ancora una corporate governance opaca che tiene lontani possibili nuovi investitori”.

La questione dei rischi è bene evidenziata dalla volatilità. Nei dieci anni chiusi ad agosto 2016 quella del paniere Msci Emerging Markets, (usato come benchmark dalla maggior parte dei fondi dedicati agli emergenti) è stata del 35% più alta rispetto a quella dell’S&P 500 e del 20% maggiore di quella del benchmark Msci dedicato ai mercati sviluppati globali. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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