Gli emergenti non mantengono le promesse. La frontiera sì

I fondi 5 stelle dedicati ai mercati in via di sviluppo hanno sfruttato i vantaggi della diversificazione. Le tensioni sociopolitiche, per i manager che operano sui paesi più arretrati, diventano un affare.  

Marco Caprotti 18/12/2015 | 09:06
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La Cina a rilento, le commodity in retromarcia e gli Usa pronti ad alzare i tassi di interesse. Tutti elementi che hanno costretto i mercati emergenti a viaggiare col freno a mano tirato, bruciando i rendimenti degli investitori. Non di tutti, però. Fra i fondi dedicati alle aree in via di sviluppo, quelli con rating 5 stelle sono riusciti a terminare in territorio positivo, grazie soprattutto alla forte diversificazione attuata dai gestori, sia in termini geografici che settoriali.

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Pericolo Cina
Una scelta in qualche modo obbligata, considerando i rischi che per tutto l’anno hanno aleggiato sugli emerging. Il momento peggiore è stato probabilmente agosto. Il 21 del mese il rapporto sui direttori degli acquisti (considerato uno degli indicatori dello stato di salute di un paese) è stato peggiore delle attese. Questo ha indotto gli investitori a pensare che il quadro macro fosse più debole del previsto e ha accelerato le vendite su tutti i paesi in via di sviluppo. A far venire i sudori freddi, qualche giorno prima, era stata la scelta della Banca centrale del paese asiatico di far svalutare lo yuan (o renminbi) per tre volte di seguito nei confronti del dollaro (1,9% la prima volta, 1,6% la seconda e poco più dell’1% la terza). Nel frattempo gli emergenti hanno dovuto fare i conti con il calo del prezzo del petrolio (e più in generale delle materie prime) che, in parte, è legato al rallentamento della Cina. Il resto delle responsabilità se lo devono dividere gli Usa (che producono shale oil a basso costo) e l’Opec (che ha deciso di non toccare la produzione e lasciare andare le quotazioni in picchiata). Un altro elemento di preoccupazione è stato legato alle scelte di politica monetaria degli americani che, come in passato, avranno impatto anche sugli emerging. Con il rialzo dei tassi Usa, infatti, di solito gli investitori vendono gli asset dei paesi più a rischio per comprare dollari.

La sorpresa frontier
In mezzo a tutto questo, la vera sorpresa sono stati i paesi di frontiera che hanno mostrato la loro flessibilità e la solidità dei fondamentali di crescita, orientati ai consumi interni. Le popolazioni che fanno parte di questo segmento geografico, nella maggior parte dei casi sono giovani. Questo si traduce in ottime opportunità di guadagno per le aziende che sono capaci di cavalcare la crescita dei consumi. Alcuni di questi stati, tra l’altro, possono beneficiare della vicinanza con la Cina che sta cercando di ricostruire una vasta area commerciale sulla falsariga di quella che era la Via sella seta. La mancanza di una vera concorrenza per le società della zona, inoltre, porta alla creazione di monopoli o oligopoli in diversi segmenti di mercato che, a loro volta, nei bilanci si trasformano in alti ritorni sul capitale investito. Per quanto riguarda i rischi, l’opinione che si raccoglie fra gli operatori è che siano amplificati rispetto alla realtà dei fatti. I gestori spesso dicono che i media occidentali tendono a dare una visione parziale di quello accade in quei paesi. I momenti di tensione sociopolitica, in ogni caso, vengono essere utilizzati dai money manager più attenti per acquistare azioni di buone società a prezzi convenienti. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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